di Antonio Carbonelli*

Dopo le sentenze con cui ha rivoluzionato la disciplina giuridica del lavoro tramite agenzia interinale nel diritto nazionale, la Cassazione interviene anche sui contratti a termine, applicando anche a tale figura contrattuale i principi che aveva enunciato sul lavoro somministrato.

Con la sentenza 15226/23, infatti, la Corte si è occupata di un lavoratore che aveva prestato lavoro tramite 9 tra contratti e proroghe pressoché consecutivi, per una durata complessiva superiore ai 36 mesi. Tribunale e Corte d’appello si erano liberati del fascicolo, ritenendo che siccome l’ultimo contratto, isolatamente considerato, appariva legittimo e i contratti precedenti non erano stati impugnati uno per uno, non vi fosse violazione del diritto comunitario.

La Corte di cassazione, invece, ha rilevato che “anche con riguardo ai contratti a termine si ha riguardo ad una successione di contratti che assume rilievo ai fini della qualificazione del termine come legittimo o meno. Ne consegue che, per ritenere temporanea l’esigenza, la valutazione non può essere parcellizzata e deve estendersi alle modalità complessive di svolgimento del rapporto”, e in particolare “non è precluso l’accertamento di un’abusiva reiterazione ove, come nella specie, l’impugnazione stragiudiziale venga rivolta nei confronti dell’ultimo contratto di una serie, quando la parte sia decaduta dall’impugnativa dei contratti precedenti”.

Con la sentenza 18631/23 la Cassazione ha confermato e rafforzato l’orientamento, dichiarando che “Le dimissioni del lavoratore da un contratto a tempo determinato, facente parte di una sequenza di contratti similari succedutisi nel tempo, esplicano i propri effetti sul rapporto intercorso tra le parti, ma non elidono il diritto all’accertamento dell’invalidità del termine apposto al contratto di lavoro, permanendo l’interesse alle conseguenze di ordine giuridico ed economico derivanti dalla nullità del termine”.

Meritano una parola anche il lavoro tramite agenzia interinale e i contratti a tempo determinato presso le pubbliche amministrazioni.
Al riguardo, risulta in corso una procedura di infrazione promossa dalla Commissione europea nei confronti dello stato italiano, “in ragione delle perduranti inadempienze delle autorità italiane”. Infatti, se anche nel diritto italiano al momento non è possibile la conversione del rapporto in contratto a tempo indeterminato, la Corte di Lussemburgo richiede pur sempre che una normativa interna che si limiti a sanzioni di tipo risarcitorio “sia accompagnata da un meccanismo sanzionatorio effettivo e dissuasivo“.

Attualmente, però, la Cassazione italiana tende a riconoscere al lavoratore assunto illegittimamente a termine solo un’indennità compresa tra le 2,5 e le 12 mensilità: sarebbe questo il meccanismo sanzionatorio effettivo e dissuasivo, a fronte del dilagare della reiterazione dei contratti a termine, e anche del lavoro tramite agenzia interinale, presso le amministrazioni pubbliche?

Eppure, per rendere effettivo e dissuasivo l’apparato risarcitorio, come imposto dalla Corte di Lussemburgo, non serve un intervento politico del legislatore: basterebbe applicare la normativa vigente con la dovuta severità nella parte che sancisce il diritto del lavoratore al risarcimento del danno, e in senso restrittivo nella parte in cui limita la risarcibilità del danno erariale che ne consegue ai soli casi di dolo e colpa grave.

Nella motivazione della sentenza 15226/03, inoltre, la Cassazione enuncia un principio di importanza fondamentale: “né la Corte di merito né, prima ancora, il Tribunale si sono confrontati con la posta questione della compatibilità con il diritto dell’Unione della disciplina dettata dalla normativa denunciata. Si tratta di questione che sarebbe comunque rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado, e che impone a questa Corte di verificare la conformità della disciplina e della sua interpretazione all’ordinamento comunitario, sollevando, quando si nutrano dubbi, la relativa questione davanti alla Corte di giustizia”.

E la Corte di Lussemburgo, sia in materia di lavoro tramite agenzia interinale, sia in materia di contratti a tempo determinato, ha dichiarato che non è conforme al diritto comunitario “l’utilizzo abusivo di siffatti rapporti, da parte dei datori di lavoro, per rispondere ad esigenze permanenti e durevoli in materia di personale”.

Quello che rileva, dunque, sono le modalità della messa a disposizione, che non siano per far fronte a esigenze stabili di manodopera: per cui, se il superamento dei 36 (oggi 24) mesi è tale da far presumere la violazione del diritto comunitario, non è da escludere che, nel caso concreto, anche periodi inferiori possano risultare sostanzialmente illegittimi, quali che siano il tenore letterale delle normative e quali che siano le opinioni della dottrina nell’ordinamento interno nazionale.

*Avvocato giuslavorista e filosofo a Brescia

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