In attesa della Nota di aggiornamento al Def, che sarà approvata la prossima settimana, all’Istat e al ministero dell’Economia si macinano le cifre sui conti pubblici italiani. Venerdì l’istituto di statistica annuncerà un rialzo tra 1,8 e 2,1% rispetto alle stime diffuse il 1° marzo 2023 e, di conseguenza, un rialzo del tasso di crescita stimato ora a +6,6%. Monica Pratesi, direttrice del Dipartimento per la produzione statistica, ha spiegato in audizione che la messa a punto dei dati di un anno di forte ripresa dopo il tonfo causato dal Covid è dovuta “al recepimento di nuove fonti statistiche strutturali e in particolare del sistema informativo integrato per la stima delle variabili dei Conti economici delle imprese”. Sullo stesso anno del resto anche gli istituti statistici di Regno Unito, Germania, Paesi Bassi e Spagna hanno comunicato revisioni sul Pil di portata eccezionale: nove decimi di punto per la Spagna, 1,1 per la Gran Bretagna, 0,6 per la Germania, 1,3 per i Paesi Bassi.

La modifica comporterà un calo dei rapporti deficit/pil e debito/pil del 2021, rivisti al rialzo a inizio marzo dopo che Eurostat ha sancito come i crediti edilizi cedibili e utilizzabili in compensazione di altri debiti fiscali vadano contabilizzati come spese nell’anno in cui si generano. La riduzione in arrivo per il 2021 potrebbe comportare un lieve trascinamento positivo sul 2022. Per l’anno in corso rimangono i problemi noti: l’istituto statistico europeo non si è ancora pronunciato sul trattamento dei bonus che si sono originati nel 2023 dopo il decreto del governo Meloni con cui è stata bloccata la cedibilità. Istat ha classificato quelli del primo trimestre come pagabili – quindi da registrare subito come spesa pubblica – ed è verosimile che anche per quelli del secondo il criterio rimanga lo stesso, ma si attende il parere ufficiale. È evidente che se arrivasse l’indicazione di caricare interamente i nuovi crediti sul 2023 questo ridurrebbe la pressione sull’anno prossimo, un assist in vista di una legge di Bilancio molto complicata.

Il punto su quale sarà l’impatto sul deficit 2023 e 2024 verrà fatto nella Nadef. Nel Def della scorsa primavera l’indebitamento programmatico era previsto per quest’anno al 4,5% e per il prossimo al 3,7%, dati che potrebbero essere rivisti al rialzo. Il problema più urgente però riguarda il fabbisogno. L’ultimo rapporto mensile sul conto consolidato di cassa del settore statale diffuso dalla Ragioneria generale dello Stato mostra che il disavanzo dei primi sette mesi ammonta a 79,1 miliardi, in linea con il 2021 ma in aumento di 44,7 miliardi sullo stesso periodo del 2022. Le cause? Come è noto la terza rata del Pnrr non è ancora stata incassata, ma a pesare sono anche i minori utili versati dalla Banca d’Italia e il calo degli incassi fiscali nei primi mesi dell’anno, oltre all’aumento dei prelievi cui contribuiscono “il trasferimento a Invitalia per l’erogazione del prestito ponte alle Acciaierie Italia SpA (ex ILVA), l’erogazione del bonus alimentare e il trasferimento a Ita per la terza tranche della ricapitalizzazione, i prelievi per l’Assegno unico universale e la rivalutazione delle pensioni”.

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