Politica

Meloni ha tre facce, come la politica: come fidarsi di chi ha cambiato idea su tutto?

di Carmelo Sant’Angelo

Ai lampedusani che chiedevano certezze, la premier ha risposto: “di solito ci metto la faccia”. Ciò significa che ci sarebbe anche la remota possibilità di incontrarla in giro per “il globo terracqueo” e non riconoscerla perché sta usando la faccia di qualche altro. E ciò non sarebbe da “patriota”, perché la propria faccia va usata sempre, a “360 gradi”, sia quando si circola nella propria “nazione”, sia quando si varcano i sacri confini patrii.

“Al cospetto degli Italiani” avrebbe potuto fieramente rispondere “attuiamo il blocco navale” oppure “li rimpatriamo tutti”, “saremo padroni a casa nostra”, “non ci facciamo dettare l’agenda da Bruxelles” o amenità del genere, che erano così di moda ai tempi dell’opposizione. “Ma non è che gli Italiani sono scemi”, come spesso lei stessa ama ricordare.

Dunque “ci mette la faccia”, si assume la responsabilità e la conseguente disponibilità a pagare il prezzo dell’insuccesso. Se fossimo stati nell’agro romano avrebbe detto: “Ma tu ’n te fidi de me?”. Ma come ci si può fidare di un esponente politico che, per sedurre l’èlite, ha opportunisticamente cambiato idea su tutto? Quante facce ha la premier Meloni? Ne ha tre, esattamente quante sono le facce della politica.

Gli studiosi delle politiche pubbliche le hanno ben descritte. La faccia visibile è quella che prende le decisioni. La faccia nascosta del potere è invece quella che prende non-decisioni. La faccia dissimulata è quella che impedisce a determinati temi di entrare nell’agenda politica. Il volto delle decisioni è facilmente riconoscibile. Aver tolto il reddito di cittadinanza è, ad esempio, una decisione, tra l’altro l’unica rispettata insieme al sostegno all’Ucraina nella metamorfosi governativa. Le non-decisioni, invece, sono sempre decisioni, ma prese al solo scopo di dilazionare, diluire, attutire, depistare. Il loro obiettivo è quello di beneficiare le élite dominanti senza intervenire su questioni che esse ritengono scomode o dannose. Il potere politico deve occuparsi di questioni inoffensive per non disturbare il potere economico, finanziario e imprenditoriale, che come un puparo tira le fila.

Come si riesce a prendere “non decisioni”? Attraverso la “mobilitazione del pregiudizio”: si mettono in campo valori, credenze, rituali, procedure affinché nessun nocumento possa derivare ai suddetti pupari. Più chiaramente: nei mesi estivi le accise hanno drenato dalle tasche degli automobilisti 2,2 miliardi di euro (mentre le banche piangono miseria per un minacciato prelievo, una tantum, di 2 miliardi); come interviene il governo? Obbligando i distributori ad esporre il prezzo medio (sollevato) del carburante praticato in quel giorno. Altro esempio, il salario minimo è un tema caro anche agli elettori della destra, allora si butta la palla al Cnel per far finta di fare qualcosa. Oppure si “risolve” il problema degli “occupabili” con una piattaforma a cui i Centri per l’impiego non hanno accesso.

Infine, c’è la terza faccia, quella in cui siamo campioni mondiali: si discute di altro, mettendo la polvere sotto il tappeto. Le armi di distrazioni di massa sono infinite. Giambruno, Vannacci, Amato, Gentiloni, Borrell, la Wagner e gli innumerevoli complotti, perfino il destino “cinico e baro” (a causa del “periodo più duro del dopoguerra” così si vittimizzava la premier) hanno riempito il palinsesto politico. Nel frattempo non sappiamo nulla del Pnrr, non sappiamo dei tagli effettuati alle Case della Comunità, agli asili nido, alla prevenzione del dissesto idrogeologico. Non sappiamo delle trattative carsiche per far diventare legge l’autonomia differenziata o per garantire la certezza dell’immunità penale ai colletti bianchi. Non sappiamo come fermare le “morti bianche” o come aiutare gli esodati del superbonus.

La Meloni d’opposizione, in un dibattito televisivo, disse: “Sei nomade? Devi nomadare”, ne consegue che se lui è un migrante deve “migrantare”, mentre chi è al governo deve governare.

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