“La vostra sentenza sarà importante perché specialmente in questo periodo in cui la situazione dei migranti è particolarmente difficile e complicata, avere tante Riace aiuterebbe a risolvere tanti problemi e a evitare situazioni che un Paese come il nostro non dovrebbe vedere da lontano ma essere capace di affrontare”. Giuliano Pisapia si rivolge direttamente alla Corte d’Appello di Reggio Calabria. L’ex sindaco di Milano sveste i panni del parlamentare europeo per indossare la toga di avvocato difensore di Mimmo Lucano nei cui confronti Pisapia non ha dubbi: “C’è stato un accanimento non terapeutico”. Oggi è stato il giorno della sua arringa e di quella dell’avvocato Andrea Daqua. È toccato ai due legali smontare punto per punto la sentenza di primo grado emessa due anni fa dal Tribunale di Locri che ha condannato Lucano a 13 anni e 2 mesi di carcere per reati legati alla gestione dei progetti di accoglienza dei migranti nel piccolo paesino della Locride. Condanna che la Procura generale ha chiesto di confermare ma con una pena inferiore, 10 anni e 5 mesi.
“Quando la politica entra nelle aule di giustizia, la giustizia scappa inorridita dalla finestra. Per me è qualcosa di insuperabile: un conto è la giustizia e un conto è la politica”. Pisapia non lo dice espressamente, ma dal suo ragionamento è chiaro che quello contro “Mimì u Curdu” è un “processo politico”: “Ci sono tutti i presupposti – dice – per l’assoluzione di Mimmo che in tutta la sua vita ha sempre fatto quello che serviva agli altri e non quello che serviva a sé stesso”. Se i migranti non votano e Lucano ha sempre rifiutato una candidatura alle politiche o alle europee, “come si fa a dire che ha fatto quello che ha fatto per motivi politici? Manca il dolo e manca la consapevolezza e la volontà di un vantaggio economico. Risulta dalla lettura di tutti gli atti processuali che Lucano non aveva un soldo sul proprio conto corrente”.
“È una sentenza ingiusta ed errata per tutti i capi di imputazione. Voi avete la possibilità di correggere un macroscopico errore”. Daqua non si risparmia, ricorda le tante ispezioni della prefettura e sostiene che il processo è nato da “un’indagine unidirezionale perché ha silenziato qualsiasi elemento che risultava in contrasto con l’impianto accusatorio per come era stato preconfezionato da quelle ispezioni”. “Abbiamo il legittimo sospetto – dice l’avvocato – che il processo sia stato viziato sin dall’inizio”. Il legale denuncia pure “lo stravolgimento dei fatti” e un “uso distorto delle intercettazioni” da parte del Tribunale di Locri che “commette il gravissimo errore di perdere la sua terzietà” e che, per condannare Lucano per il reato di peculato, su una conversazione chiave ha utilizzato una trascrizione della guardia di finanza dove c’è una frase “inesistente”, attribuita all’ex sindaco di Riace. Trascrizione “smentita dal perito” nominato dallo stesso Tribunale che, “a questo punto – conclude l’avvocato Daqua – avrebbe potuto acquisire direttamente l’informativa di reato senza fare nemmeno l’istruttoria”.
Lucano non era presente all’udienza. “Non se la sentiva di venire in quest’aula– spiega Pisapia che legge al posto suo la lettera indirizzata ai giudici della Corte prima della camera di consiglio fissata per l’11 ottobre: “Ho vissuto anni di grande amarezza e di sfiducia nella giustizia – sono le parole di Lucano – non solo e non tanto per la limitazione della libertà personale, quanto per l’ingiusta campagna di denigrazione che si è abbattuta sull’esperienza di ripopolamento del borgo vecchio di Riace aperto all’accoglienza dei migranti. Come tutti gli esseri umani posso aver commesso degli errori ma ho sempre agito con l’obiettivo e la volontà di aiutare i più deboli e di contribuire all’accoglienza e all’integrazione di bambini, donne e uomini che fuggivano dalla fame, dalla guerra, dalle torture”.