Sullo sciopero nel settore auto che sta terremotando le relazioni tra industria americana e mondo del lavoro, Shawn Fain, il leader della United Auto Workers (UAW), nuovo eroe del sindacato Usa, nel suo primo post su X, il social che tutti chiamano ancora Twitter, in una clip tratta dal film The hitman’s bodyguard fa parlare Samuel Jackson: “Allora, hai finito? tick tock, figlio di p…”. Linguaggio esplicito. Da strada e non da cda, combattivo. Galvanizza gli operai. Per Ford, General Motors e Stellantis il messaggio è: “A brigante, brigante e mezzo”. Spiega Fain: “I lavoratori del settore automobilistico ne hanno abbastanza. Non aspettiamo più. E non stiamo scherzando. Quindi mezzogiorno di venerdì 22 settembre è la prossima scadenza. O i Tre Grandi lavorano con noi per far progredire i negoziati, oppure sempre più lavoratori scenderanno in sciopero”.
La UAW è la più grande organizzazione sindacale degli Stati Uniti, con oltre 400.000 iscritti, di cui 146.000 tra gli operai di Ford, GM e Stellantis. La posizione ultraradicale di Fain ha implicazioni “ideologiche”, più che contrattuali, senza precedenti per l’America. “Ogni fibra del nostro sindacato è impegnata nella lotta contro la classe dei miliardari e un’economia che arricchisce solo pochi a spese dei lavoratori”, ha spiegato Fain. Ecco perché il negoziato ha preso una piega drammaticamente più conflittuale rispetto agli anni passati. Pensate: è la prima volta in 88 anni che il sindacato decide di scioperare in tutte e tre le case automobilistiche contemporaneamente. Alla Ford, in particolare, non si vedeva uno sciopero dal 1976.
Quaranta percento è la cifra che il presidente della UAW ha citato più volte, richiamando l’attenzione sugli esorbitanti compensi dei manager al vertice delle Tre Big. Negli ultimi quattro anni gli amministratori delegati di GM, Ford e Stellantis hanno visto la loro retribuzione complessiva (stipendi + bonus) aumentare del 40%, mentre i salari medi dei loro dipendenti sono cresciuti appena del 6%. Un fatto davvero scandaloso, il lato peggiore del capitalismo iperliberista. Più in dettaglio, l’Economic Policy Institute ha pubblicato un report secondo cui i salari medi degli operai del settore auto Usa dal 2008 sono diminuiti del 19,3%. E mentre i compensi degli ad delle principali società quotate a Wall Street sono cresciuti del 1460% tra il 1978 e il 2021, la retribuzione tipica dei lavoratori è cresciuta solo del 18,1%. Un divario che grida davvero vendetta.
L’anno scorso gli amministratori delegati delle Tre Big hanno ricevuto stipendi sbalorditivi. Jim Farley di Ford ha portato a casa circa 21 milioni di dollari, Carlos Tavares di Stellantis ha intascato quasi 25 milioni e Mary Barra di General Motors – la più pagata – s’è messa in tasca 29 milioni, sono 200 milioni di compensi da quando è capo di GM dal 2014. “E chiamano avidi noi?” ha urlato Fain in un picchetto di operai nel Michigan venerdì scorso.
Il contrasto tra la retribuzione degli alti manager e quella dei lavoratori è stupefacente, partendo dal dato base: le Tre Big hanno già incassato quest’anno profitti pari a 20 miliardi di dollari. Per l’associazione no-profit “As You Sow”, che traccia il divario retributivo tra CEO e lavoratori nelle aziende statunitensi, il vero scandalo è che l’ad di Ford ha guadagnato 281 volte di più rispetto al lavoratore medio. Gap ancora maggiore in GM, dove Barra è stata retribuita nel 2022 ben 362 volte di più del dipendente medio. Bernie Sanders, il senatore socialista ex candidato alla Casa Bianca, è andato oltre osservando che “negli ultimi 20 anni i salari reali nel settore auto sono diminuiti del 30% se si tiene conto dell’inflazione”. “Qui nessuno pensa che tre persone al vertice debbano possedere più ricchezza della metà più povera della società americana. Bisogna dire basta! Non ha senso che gli ad guadagnino 400 volte di più dei loro dipendenti. L’America non è questo. Ecco ciò che la UAW sta dicendo al popolo americano. E penso ci sia un enorme sostegno per ciò che cercano di fare”, ha spiegato Sanders.
E i colossi del settore auto, cosa rispondono? Che non possono permettersi aumenti salariali come quelli del 40% in quattro anni chiesti da Fain, perché ciò renderebbe impossibile competere con le aziende concorrenti non sindacalizzate come Tesla e Hyundai, dove le paghe sono nettamente inferiori. Secondo le rivelazioni della Securities and Exchange Commission citate dal Wall Street Journal, lo scorso anno il lavoratore medio di Tesla ha avuto compensi totali pari a 34.084 dollari, rispetto agli 80.034 di GM e ai 74.691 di Ford. Stellantis – holding multinazionale da 180 miliardi di dollari di fatturato annuo, presieduta da John Elkann con sede legale ad Amsterdam, nata dalla fusione tra i gruppi Fiat Chrysler Automobiles e PSA (tra i marchi: Chrysler, Peugeot, Fiat, Jeep, Citroën, Opel, Dodge, Alfa Romeo, Maserati e molti altri) – afferma che un operaio medio ha guadagnato 64.328 euro (68.683 dollari). Calcoli che includono sia i lavoratori non produttivi che i dipendenti situati in altri paesi, nel caso di Tesla comprendenti anche la Cina.
Questo maxi sciopero che entrerà nella storia del mondo del lavoro ha, come ovvio, ricadute politiche pesanti sulle prossime presidenziali americane del 2024. Mentre Donald Trump ha criticato la leadership della UAW, ampiamente contraccambiato, Biden ha espresso il suo sostegno ai lavoratori promettendo di inviare una squadra della Casa Bianca a Detroit. Il probabile sfidante di Biden (Trump dovrà rispondere di fronte a vari tribunali statali e federali in quattro diverse cause e incriminazioni, di cui una comporta la detenzione) ha fatto sapere che salterà il prossimo dibattito del partito repubblicano del 27 settembre (tanto è nettamente in testa lui), quel giorno terrà invece un discorso rivolto proprio al sindacato. Fain non l’ha bevuta. “È uno stratagemma cinico per ottenere voti” ha commentato.
In teoria l’appello di Trump alla UAW potrebbe aiutarlo a fare ulteriori passi avanti presso la classe operaia, nonostante il sostegno a politiche (come maggiori tagli fiscali per i ricchi) che avvantaggiano solo lui, e la super classe dei grandi miliardari. Biden, per parte sua, autodefinitosi il “presidente più filo-sindacale di sempre”, appoggia gli operai della United Auto Workers, con cautela: “Le aziende automobilistiche hanno registrato profitti record… che non sono stati equamente condivisi con i lavoratori”.
Ciò è bastato per suscitare la controreazione del quotidiano economico finanziario del gruppo Dow Jones di proprietà di Rupert Murdoch, il Wall Street Journal. “Comprendiamo il colpo finanziario che l’inflazione degli ultimi due anni ha inferto ai lavoratori e che il sindacato vuole che questo prossimo contratto recuperi il terreno perduto”, si legge in un editoriale del board. “Ma l’ad della Ford, Jim Farley, ha dichiarato che le richieste della UAW raddoppierebbero il costo del lavoro dell’azienda, portandola alla bancarotta, la paga media sarebbe infatti di quasi 300.000 dollari per una settimana lavorativa di quattro giorni”. Il pugnace Fain non se l’è fatta scappare. “Le aziende e i media usano tattiche impostate sulla paura su come noi distruggeremo l’economia. Non distruggeremo l’economia. La verità è che attacchiamo l’economia miliardaria. I lavoratori non hanno paura. Sapete chi ha paura? I media aziendali hanno paura. La Casa Bianca ha paura. Le aziende hanno paura”.
Per inciso, la UAW ha ritirato l’endorsement al partito democratico e a Biden, che nelle precedenti presidenziali era elargito di default. Il che è una seria complicazione politica per un presidente in carica che in altre recenti controversie di lavoro ha cercato di bilanciare la sua simpatia per i lavoratori con l’impatto negativo che gli scioperi hanno sull’economia e la produttività degli Stati Uniti. “Ma qui è tempo che i politici di questo paese scelgano da che parte stare” dice il capopopolo della UAW. “O sei dalla parte di una classe miliardaria in cui tutti gli altri vengono lasciati indietro, oppure sei dalla parte della classe operaia”. Una previsione? Lo sciopero durerà a lungo.