Ci voleva il guizzo di sincerità di un banchiere per smontare la colossale campagna messa in piedi da quotidiani ed annessi opinionisti contro la tassa sugli extraprofitti. Si sa che a volte è sin troppo facile diventare più realisti del re. “La tassa sugli extra profitti non avrà impatti sulla remunerazione degli azionisti e nemmeno un impatto sconvolgente sul settore”, ha affermato candidamente il numero uno di Unicredit Andrea Orcel. Orcel ha innanzitutto rassicurato i suoi soci, confermando che nel 2023 verranno versati agli azionisti della banca 6,5 miliardi di euro. Esattamente la stessa somma prevista prima che della tassa si incominciasse ad avere notizia. Del resto, cifre alla mano, non serve un’aquila per capire di cosa stiamo parlando. Un prelievo da 4 miliardi di euro se va bene e, più probabilmente, della metà, su un monte utili per il settore stimato quest’anno in almeno 40 miliardi di euro. Non solo, la tassa potrebbe trasformarsi in una sorta di prestito fatto allo stato visto che potrebbe essere gradualmente recuperata sotto forma di crediti di imposta negli esercizi successivi.
Prima di Orcel erano state le agenzie di rating a riportare inviperiti opinionisti ed economisti (spesso anche ex banchieri) italiani alla ragione. Sia Fitch che Moody’s avevano sentenziato di non vedere grandi conseguenze per il settore da una misura blandamente redistributiva. Che avrebbe potuto essere pensata e presentata meglio ma non è certo qualcosa che accomuna l’Italia all’Argentina come qualcuno si è divertito a scrivere. C’è probabilmente da credere alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni quando afferma di aver ricevuto sulla tassa più critiche dai giornali che dalle banche.
“Ai correntisti niente interessi, offriamo un servizio – “I conti correnti sono un servizio che si usa per pagare le bollette e fare un sacco di altre cose” ma “se un cliente vuole che i suoi soldi siano remunerati deve investire i soldi spostandoli dal conto corrente”, ha anche detto l’amministratore delegato di Unicredit Andrea Orcel. A logica ne consegue che se domani tutti i correntisti di Unicredit si recassero in banca per ritirare i soldi e chiudere i loro conti per la banca sarebbe quasi un sollievo. Non è così. La banca fallirebbe ed Orcel lo sa bene. I soldi dei correntisti sono ciò che consente alla banca di fare la banca e di guadagnare miliardi di euro.
Il risparmio delle famiglie è prezioso, ambito e conteso. Lo vogliono gli stati che per averlo offrono titoli di stato. Lo vogliono i privati e le loro banche. È prezioso perché si paga molto poco (in Italia nulla) rispetto ad altre forme di finanziamento e perché, nel suo valore complessivo, è molto stabile. È vero che un risparmiatore può ritirare tutti i suoi soldi in qualsiasi momento ma, nel loro insieme, disinvestimenti e nuovi versamenti tendono ad equivalersi e l’aggregato rimane stabile. Semplificando un po’, ciò permette alle banche di fare affidamento su questi soldi per erogare prestiti (mutui etc) su cui poi chiedono interessi e fanno profitti. Come tutti ormai più o meno sanno, qualsiasi banca, Unicredit inclusa, ha in cassa solo una piccola parte dei soldi dei suoi clienti, il resto li usa per i suoi affari. Solitamente, in circostanze normali, questa piccola parte è sufficiente a soddisfare il fabbisogno quotidiano dei correntisti. Affermare che i conti sono per la banca poco più che un fardello (senza contare il costo di tenuta) è falso. Orcel invita i suoi correntisti a spostare i soldi dal conto corrente ai depositi vincolati. Questi depositi pagano qualche punto percentuale di interesse ma solo se si lasciano i soldi immobilizzati per un determinato periodo di tempo, solitamente almeno un anno. Gli interessi sono comunque al di sotto del tasso di inflazione, quindi, scaduto il periodo del vincolo, la banca ci restituisce in concreto meno soldi di quelli che abbiamo depositato.
Le parole di Orcel arrivano mentre le banche italiane sono nel mirino per essere quelle che in Europa hanno trasmesso meno ai loro clienti i benefici degli aumenti dei tassi decisi dalla Bce , aumenti che hanno spinto vigorosamente i loro introiti. Appena il 10% contro valori del 20 o del 30% che contraddistinguono le banche francesi e tedesche. È anche per questa ragione che l’idea di una tassa sugli extraprofitti sembra più che ragionevole. La stessa Banca centrale europea ha ripetutamente invitato le banche a trasmettere ai clienti l’incremento dei tassi, ossia di alzare gli interessi sui depositi. In Italia tutto tace o si muove alla moviola. In compenso Orcel ha confermato che nel 2023 distribuirà agli azionisti della banca 6,5 miliardi di euro. Troppo facile così.