Prima la rimozione da parte dell’Europa del divieto dell’export del grano ucraino, che danneggerebbe gli agricoltori polacchi ponendo anche un problema di consenso al governo in vista delle elezioni del 15 ottobre. Quindi la reazione di Varsavia che risponde minacciando di smettere di inviare armi all’Ucraina sostenendo la necessità di difendersi e infine, a poche ore di distanza, la telefonata tra i ministri dell’Agricoltura polacco e ucraino, rispettivamente Mykola Solsky e Robert Telus, al termine della quale arriva l’annuncio che “nei prossimi giorni” i due Paesi discuteranno della controversia e che mantengono “relazioni strette e costruttive” sulla questione dell’esportazione del cereale. Ipotesi rafforzata dalle parole del presidente polacco Andrzej Duda, secondo cui il primo ministro, Mateusz Morawiecki, è stato male interpretato, mentre il consigliere per la sicurezza nazionale americano, Jake Sullivan, si dice convinto “che la Polonia continuerà ad essere un forte sostenitore dell’Ucraina con la fornitura di armi”.
E mentre i due Paesi smorzano con l’apertura del canale diplomatico una crisi con potenziali ripercussioni sugli alleati Nato, Slovacchia e Ucraina hanno già concordato di creare un sistema di licenze commerciali per il grano che consentirà di revocare il divieto di importazione di quattro prodotti ucraini a Bratislava. “Fino a quando questo sistema non sarà lanciato e non sarà testata la sua piena funzionalità, il divieto di importazione” di grano, mais, colza e semi di girasole “prodotti dall’Ucraina sarà ancora valido fino alla fine del 2023“, si legge in un comunicato del ministero dell’Agricoltura slovacco.
La sequenza dei fatti – Da mesi le relazioni polacco-ucraine si sono notevolmente complicate a causa dell’embargo imposto da Varsavia sull’import di grano di Kiev. Il governo polacco vuole tenere fuori dai propri confini le sementi ucraine per proteggere i propri agricoltori, che costituiscono un importate base elettorale per l’attuale partito di governo. Tensioni che si sono accentuate dopo la decisione della Commissione europea di non estendere le restrizioni all’importazione del grano di Kiev e il rifiuto di Polonia, Slovacchia e Ungheria di far cadere il divieto. Il premier polacco Mateusz Morawiecki, in un’intervista televisiva, ha reagito dichiarando che la Polonia – che, come l’Ucraina, si sentiva accomunato dalla minaccia russa – non trasferirà “più armi a Kiev perché ora ci stiamo armando noi, dobbiamo difenderci“. Parole inattese poche ore dopo che Varsavia aveva convocato “d’urgenza” l’ambasciatore ucraino per protestare contro l’attacco di Zelensky, che, nell’intervento alle Nazioni Unite, aveva puntato l’indice contro alcuni paesi per i quali la solidarietà al suo Paese è solo “teatro politico“, mentre con le loro azioni “preparano il terreno alla Russia“. Per quanto però la situazione si presenti tesa, Kiev ha annunciato che nei prossimi giorni si svolgeranno “negoziati durante i quali verranno discusse le questioni preparate da entrambe le parti”. I rispettivi ministri dell’Agricoltura “hanno discusso della situazione, nonché della proposta dell’Ucraina per una soluzione, e hanno concordato di trovare una soluzione che tenga conto degli interessi di entrambi i paesi. Le parti hanno confermato i rapporti stretti e costruttivi che hanno ripetutamente dimostrato e, tenendo conto di ciò, hanno concordato di elaborare nel prossimo futuro un’opzione di cooperazione sulle questioni relative all’esportazione”.
La decisione dell’Europa, la campagna elettorale e l’adesione di Kiev all’Ue: cosa c’è dietro la battaglia sul grano – Bruxelles venerdì scorso ha deciso di revocare le misure che vietavano l’immissione sul mercato di grano, mais, colza e semi di girasole provenienti dall’Ucraina in cinque Stati membri dell’Ue: oltre alla Polonia, anche Ungheria, Slovacchia, Romania e Bulgaria. Il provvedimento, introdotto lo scorso aprile e prorogato a giugno fino al 15 settembre, era stato adottato dall’Ue in risposta alle strozzature logistiche e agli accumuli di grano che avevano provocato distorsioni nel mercato dei cinque Paesi dell’Est Europa. Distorsioni che, secondo la Commissione europea, sarebbero ora “scomparse” rendendo “non più necessarie” le restrizioni temporanee varate in precedenza. Tanto più che Kiev si è impegnata a introdurre eventuali provvedimenti correttivi entro 30 giorni per evitare eventuali distorsioni di mercato.
“Una decisione che desta delusione e preoccupazione”, aveva commentato Varsavia, che insieme a Budapest e Bratislava ha prorogato in via unilaterale il divieto ai cereali ucraini, peraltro allungando la lista delle merci sotto embargo. Una mossa, quella del premier polacco Morawiecki, che punta a mobilitare il voto delle campagne, decisivo per vincere le elezioni del 15 ottobre. Ma sul tappeto c’è anche una questione che va al di là delle contingenze elettorali ed è collegata alla futura adesione di Kiev all’Ue. “Le restrizioni al grano non sono che il primo passo in questa direzione”, hanno osservato fonti polacche, sottolineando la necessità di adottare “nuovi strumenti” per impedire che la loro agricoltura soccomba nella competizione con quella ucraina.
La risposta di Kiev non si era fatta attendere. Il governo ucraino aveva annunciato di aver intentato una causa presso la World Trade Organization contro i suoi tre vicini (Polonia, Slovacchia e Ungheria). “È di fondamentale importanza per noi dimostrare che i singoli Stati membri dell’Ue non possono vietare le importazioni di prodotti ucraini”, aveva dichiarato il ministro dell’Economia ucraino Yulia Svyrydenko in un comunicato. “Per questo motivo stiamo intentando una causa contro di loro”. Ma alla luce dei negoziati avviati nelle ultime ore, lo scenario sembra già cambiato.
La battaglia sul grano ucraino era inoltre arrivata fin nelle stanze di palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea, dove il commissario all’Agricoltura, il polacco Janusz Wojciechowski, aveva chiesto alla presidente Ursula von der Leyen di ripristinare il divieto alle esportazioni di grano dall’Ucraina. Parole, avevano tagliato corto dalla Commissione, che erano segno di “un’opinione personale”, e su cui lo stesso Wojciechowski è stato poi costretto a fare marcia indietro, invocando “il giusto equilibrio” tra il sostegno all’economia ucraina e la necessità di affrontare le preoccupazioni degli agricoltori del suo Paese. In questo ginepraio, Roma si era proposta come mediatrice tra le parti. Una posizione espressa dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida in occasione della discussione sul dossier avvenuta in occasione della riunione del Consiglio Ue.