“Ci vorrebbe un miracolo per realizzare davvero l’integrazione degli armeni in Nagorno-Karabakh. Anche trovando un accordo di pace, si tornerà a combattere”. Emin Huseynov, attivista azero per i diritti umani esiliato in Svizzera per il suo lavoro di critica contro il regime autoritario in Azerbaigian, non nasconde una nota di amarezza nel parlare del futuro della regione a prevalenza armena sotto il controllo di Baku che negli scorsi giorni è stata oggetto di un’operazione militare che ha coinvolto anche civili e minori.
Dopo poco più di 24 ore e 32 morti accertati, i separatisti del Nagorno-Karabakh hanno deposto le armi accogliendo il cessate il fuoco e ponendo fine, almeno sulla carta, a una disputa territoriale ereditata dallo scioglimento dell’Unione Sovietica. Ma le tensioni che riguardano l’enclave armena sono lontane da una risoluzione. “Il governo di Baku non è mai stato trasparente. Da dieci anni a questa parte l’Azerbaigian discrimina i suoi stessi cittadini e reprime i dissidenti. Non c’è libertà di espressione, la gente vive in condizioni di povertà estrema, in molti non hanno acqua ed elettricità. Come ci si può aspettare che sia più clemente verso le minoranze etniche?”, racconta a Ilfattoquotidiano.it l’attivista. “In questi giorni il governo azero ha interrotto l’accesso a social come Tik Tok e Youtube per impedire alle persone di informarsi, martedì ha arrestato un noto attivista politico e in generale negli ultimi anni nel Paese vige un clima di intolleranza verso qualsiasi forma di società civile. Se si sosta di fronte a un edificio governativo, si va incontro alla brutale violenza della polizia”, continua.
L’Azerbaigian controlla la regione del Nagorno-Karabakh da quando, nel 2020, ha vinto la Seconda Guerra del Karabakh contro l’Armenia. La zona è diventata teatro di scontri a intermittenza tra le forze separatiste insediate nell’autoproclamata della Repubblica dell’Artsakh e il governo di Baku, con la Russia e l’Armenia che regolarmente gravitano attorno al conflitto. Da fine 2022 il governo azero ha però intensificato il controllo nella regione, come parte di un progetto di sviluppo economico che vede nell’area montuosa del Caucaso una zona promettente. “Il governo azero ha individuato qui l’area per l’espansione delle proprie industrie. Questo ha portato all’insediamento di aziende azere che hanno sottratto terra agli armeni locali, privandoli di qualsiasi diritto sul territorio e non permettendogli di partecipare alla vita civile del Paese”. Non solo. Le discriminazioni nei confronti della minoranza etnica armena hanno secondo l’attivista delle connotazioni razziali sistematizzate nel vocabolario dell’establishment. “Per insultare chiunque protesti in Azerbaigian, che siano oppositori o semplicemente non simpatizzanti del governo, ci si rivolge a loro dandogli dei ‘mezzosangue armeni‘”, racconta. Anche il controllo del corridoio di Lachin, unica via verso l’Armenia da dove provenivano gli aiuti umanitari per gli armeni farebbe parte del piano azero di ghettizzazione degli armeni: “Gli ecoattivisti che hanno bloccato il corridoio lo scorso dicembre sono in realtà delle marionette del governo, di questo sono sicuro”, afferma l’attivista. “Allo stesso modo i peacekeeper russi servono solamente a Putin per asserire il suo controllo nell’area e manipolare le informazioni a proprio vantaggio”, afferma lapidario.
Lo spostamento forzato degli armeni del Nagorno-Karabakh si è intensificato a seguito dell’operazione militare “antiterrorista”, come l’ha definita Baku, con migliaia di azeri che sono stati evacuati verso le postazioni dei peacekeeper russi. “È una forma di pulizia etnica soft, che allontana gli armeni dalle loro terre” commenta Huseynov. “Gli azeri si oppongono all’idea di una seconda Armenia nel proprio territorio e la propaganda racconta che chi non si sente azero può andarsene, ma a livello pratico i confini sono chiusi e i cittadini sono come in ostaggio“. Le immagini che arrivano da Stepanakert, capitale autoproclamata dell’enclave armeno, confermano l’emergenza umanitaria: migliaia di persone si sono accalcate nei pressi dell’aeroporto, nella speranza di lasciare il Paese.
Sul ruolo della Russia in questo caos post-sovietico, Huseynov non ha dubbi: Mosca ha interesse a mantenere l’instabilità nella regione. L’attivista si spinge oltre nell’affermare che le proteste che stanno interessando Erevan in queste ore sarebbero orchestrate direttamente dal Cremlino. “L’Armenia di Nikol Pashinian si è avvicinata all’Occidente e questo a Vladimir Putin non piace”, spiega Huseynov. Dopo il bombardamento azero diversi manifestanti in Armenia hanno protestato contro il mancato intervento di Erevan a difesa degli armeni in Azerbaigian, mentre l’opposizione ha chiesto l’impeachment del primo ministro. “C’è una certa parte dell’élite armena che ha sempre beneficiato dei contrasti con l’Azerbaigian. Le proteste di questi giorni contro il governo sono opera di Putin, che vuole delegittimare un governo democraticamente eletto e alimentare il conflitto nella regione”. Mentre Putin parla di pace, starebbe invece, secondo Huseynov, soffiando sul fuoco di guerra. L’Europa intanto non osa intervenire a causa della dipendenza dal gas azero. “L’Unione europea conduce trattati con le autorità senza fare intervenire le associazioni per la difesa dei diritti umani e andare a guardare cosa c’è sotto la patina di stabilità paventata dal governo”, accusa l’attivista. Se sulla carta il conflitto in Nagorno-Karabakh sembra ufficialmente risolto, gli armeni dell’enclave rischiano di essere sempre più abbandonati a sé stessi.