A trentotto anni dall’omicidio di Giancarlo Siani una cosa è vera come e forse più di allora: niente è più pericoloso del mestiere di giornalista-giornalista.

Allora, a metà degli anni ’80, essere un giornalista libero e affamato di verità da raccontare era certamente rischioso ed infatti l’omicidio di Siani costituisce un episodio all’interno di una lunga serie di delitti analoghi: a voler tappare la bocca ai giornalisti come Siani erano tanto i criminali mafiosi insofferenti alla luce delle cronache, quanto certi politici più o meno collusi con questi, ma in ogni caso egualmente criminali nell’esercizio del potere.

La storia di Siani è da questo punto di vista emblematica perché se è vero, come accertato fino in Cassazione, che a condannare Siani furono i più mafiosi tra i camorristi e cioè quei Nuvoletta affiliati alla Cosa Nostra guidata ormai saldamente da Riina e sodali, è altrettanto verosimile che le indagini di Siani lo avrebbero portato sempre più vicino all’occhio del ciclone e cioè al rapporto tra politici, imprenditori e camorristi negli anni della ricostruzione post-terremoto. Come per altri insomma si può affermare anche per Siani: andava ucciso per quello che aveva fatto, ma anche per quello che avrebbe sicuramente fatto.

Però in quegli anni oltre a cadere i giornalisti, venivano colpiti altri avversari, appartenenti ad altre categorie professionali: magistrati, uomini delle forze dell’ordine, sindacalisti, pubblici amministratori, imprenditori… Oggi no. E non perché non si uccida più.

Infatti in questi ultimi anni all’interno dell’Unione Europea gli omicidi “eccellenti” ordinati da organizzazioni criminali di stampo mafioso per eliminare ostacoli fastidiosi per i propri affari hanno avuto quasi esclusivamente ad oggetto dei giornalisti.

Daphne Caruana Galizia, assassinata a Malta nel 2017; Jan Kuciak, assassinato insieme alla sua compagna Martina Kusnirova in Slovacchia nel 2018; Peter de Vries, assassinato ad Amsterdam nel 2021. Dentro i confini italiani alcuni dei fatti di cronaca mafiosa più eclatanti hanno colpito il medesimo target, pur non provocando la morte dell’obiettivo. Penso a Roberto Saviano, a Federica Angeli, a Paolo Borrometi, a Danieli Piervincenzi, a Marco Omizzolo, per citare soltanto i più noti. Ma anche allargando lo sguardo oltre l’Unione Europea a cadere sono per lo più giornalisti o comunque “ficcanaso-scassaminkia”, penso a Vittorio Arrigoni che si ostinava a raccontare l’operazione “Piombo fuso”, a Giulio Regeni, ad Andrea Ronchelli, fino allo stesso Mario Paciolla “suicidato” molto probabilmente per aver messo nero su bianco cose scomode alle dinamiche interne alle Nazioni Unite.

Nessuna pretesa di esaustività in questi miei esempi. Mi servono soltanto per ricavarne due considerazioni ed un auspicio. Purtroppo il potere, quello delle organizzazioni criminali di stampo mafioso e quello criminale di certa politica, continua a reagire con intimidazione e violenza alle insubordinazioni minacciose (ed i giornalisti-giornalisti sono insubordinati per antonomasia), rendendo ai miei occhi verificata una legge universale e cioè: se dai fastidio, ti colpiscono, se non ti colpiscono vuol dire che non dai fastidio.

La seconda considerazione: se in questi ultimi anni ad essere assassinati o aggrediti sono stati esclusivamente (con qualche lodevole eccezione) giornalisti-ficcanaso, gli altri, che pure avrebbero il dovere morale e deontologico di essere ugualmente insubordinati e minacciosi per le concentrazioni criminali di potere, che stanno facendo?

L’auspicio.
Non si uccide soltanto con il piombo, ci sono tanti “morti-vivi” o sopravvissuti miracolosamente, colpiti diversamente, magari con inchieste giudiziarie risultate completamente infondate oppure con quello strumento odioso che è la così detta querela temeraria (meglio: querela intimidatoria), devastante soprattutto quando usata contro giornalisti precari con le spalle scoperte. Il Parlamento italiano ha più volte cercato di dare una adeguata protezione contro le querele temerarie, ma oggi la svolta più importante potrebbe arrivare proprio dal Parlamento Europeo dopo che Commissione e Consiglio hanno trovato una posizione condivisa ed avanzata sul punto. Certo, al netto di ripensamenti di marca illiberale (ah! Quanto sono dannatamente importanti le prossime elezioni europee).

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