E’ il paradosso spesso riscontrato nelle piccole imprese: la gestione delle persone viene fatta con gli stessi criteri con cui si gestiscono le macchine che funzionano premendo un tasto finché non scoppiano. Le persone hanno un cervello (razionalità), un cuore (passioni) e una pancia (istinti) e per ottenere il massimo delle loro performance occorre gestire soprattutto questi organi piuttosto che braccia e gambe. Un concetto semplice dal punto di vista teorico ma difficile da far metabolizzare nella pratica ai piccoli imprenditori.
Eppure la figura del capo (imprenditore o manager) sta cambiando rapidamente nella società della conoscenza. Deve essere sempre più al servizio che al comando della risorsa.
Una chiave di lettura per interpretare in modo nuovo la figura del capo è oggi il management by education e cioè la capacità di gestire lasciando la piena autonomia a ciascun collaboratore, pur presidiando l’onere di guidare verso la direzione voluta dall’impresa attraverso principi, modelli, idee di fondo, cultura e autorevolezza.
È chiaro che gestire le persone in questo modo è molto più sofisticato e può apparire, agli occhi di alcuni imprenditori, il più inefficiente rispetto ad altre modalità.
Il punto è che questo metodo non è il più efficace, ma oggi l’unico possibile in contesti produttivi ad alta intensità di conoscenza. Infatti quello che il capo può osservare, in tali aziende, è esclusivamente il risultato del proprio collaboratore, poiché il processo produttivo è nascosto nella testa dei propri collaboratori. Egli può solo vedere persone sedute, all’apparenza pensose, che fissano lo schermo di un computer e magari, come si sta maggiormente verificando negli ultimi tempi, manco può osservarle perché stanno lavorando a casa loro. Quando cade l’onnipotenza del modello organizzativo arcaico e cioè a man mano che le conoscenze aumentano la loro percentuale di presenza all’interno del prodotto/servizio venduto, non c’è alternativa alla gestione basata sulla crescita dei knowledge worker e dei sistemi per organizzarne i risultati (informazioni e conoscenze).
Viene ridotta sia la funzione del capo come supervisore tecnico che come presidio della catena gerarchica. Il centro della gestione si esprime attraverso una sorta di energia profusa verso i collaboratori, orientata ad aiutarli, a incrementare il loro patrimonio di conoscenze e competenze metodologiche e a stimolarli nella produzione, formalizzazione e consolidamento delle conoscenze, procurando cosi vantaggio, oltre che a se stessi, ai colleghi e all’impresa in generale. Solo in questo modo si attiva quel circolo virtuoso che porta alla crescita aziendale in realtà composte da un numero limitato di persone.
Analogamente a quanto fa il supervisore di processo di un bene materiale, rispetto agli impianti e al modello produttivo, l’imprenditore che governa i flussi produttivi attraverso la crescita professionale dei propri collaboratori è continuamente volto a supportarli, rafforzare e sperimentare i modelli, i metodi operativi e gli strumenti concettuali che gli operatori della conoscenza vanno via via elaborando.
Allo stesso modo in cui l’imprenditore di un tempo si adoperava per far funzionare al meglio il mix tra impianti, procedure e personale, altrettanto dovrà fare oggi gestendo i risultati attesi degli operatori della conoscenza, motivandoli e incrementandone il valore personale e aziendale. La differenza è che, mentre i macchinari sono col tempo soggetti a usura, i macchinari dei knowledge worker, le loro teste, possono ulteriormente svilupparsi e ottenere risultati insospettabili.
Ecco perché il capo, lo ricordassero i piccoli imprenditori, non è più colui che sa di più del suo collaboratore e risolve i problemi più complessi (lo specialista ne sa più di lui) e non è neppure colui che governa i processi produttivi (non può conoscerli, sono racchiusi nella mente degli operatori), ma rimane comunque il reale fattore critico di successo se diventa il principale elemento di crescita dell’azienda aumentando il valore dei suoi più importanti asset: i knowledge workers.
Certo questa attività riguarda soprattutto le aziende che fanno dell’innovazione e della produzione di conoscenze il loro punto forte, ma oggi tutte le piccole imprese devono e dovranno sempre più spesso innovare prodotti, processi e modelli di commercializzazione aumentando cosi il numero dei propri operatori della conoscenza.
Se non oggi è domani… conviene prepararsi!