Nuove tensioni nel nord del Kosovo dopo che uomini armati hanno aperto il fuoco nella notte tra sabato e domenica contro dei poliziotti, uccidendone uno e ferendone altri due. Nel corso del lungo scontro a fuoco seguito all’agguato sono stati uccisi anche sei aggressori. Secondo le autorità del piccolo Paese balcanico, gli autori del gesto, avvenuto nel villaggio di Banjska, non lontano da Leposavic, uno dei quattro maggiori Comuni del nord a maggioranza serba, sono proprio uomini di etnia serba. Il premier Albin Kurti sostiene che l’agguato sia stato orchestrato da “professionisti del crimine, mascherati e pesantemente armati. Non si tratta di bande criminali, ma di persone addestrate o di polizia. Condanniamo questo attacco criminale e terroristico. La criminalità organizzata, con il sostegno politico, finanziario e logistico dei responsabili ufficiali di Belgrado, attacca il nostro Paese”. Duro anche l’Alto rappresentante per la Politica estera dell’Ue, Josep Borrell, che condanna “con la massima fermezza l’odioso attacco di una banda armata contro gli agenti di polizia del Kosovo. Tutti i fatti relativi all’attacco devono essere accertati. I responsabili devono affrontare la giustizia”.
L’episodio è avvenuto in un momento di tensione crescente, dopo le violente proteste del maggio scorso che coinvolsero anche alcuni militari della missione di pace Nato Kfor, dato che venerdì una lunga colonna di blindati e mezzi militari dell’Esercito serbo è stata vista muoversi lungo la strada fra Kraljevo e Raska, nel sud della Serbia, in direzione del confine. Nei giorni precedenti, due giovani fratelli serbi sono stati aggrediti e picchiati nei giorni scorsi a Gracanica, enclave serba a pochi chilometri dalla capitale kosovara Pristina. Inoltre, tre serbi sono stati arrestati nel nord del Kosovo con l’accusa di crimini di guerra contro la popolazione civile durante il conflitto armato di fine anni Novanta, mentre ordigni esplosivi sono stati lanciati contro le abitazioni di tre dirigenti esponenti della comunità serba a Ranilug. Per quanto riguarda le manovre militari, il presidente serbo Aleksandar Vucic aveva assicurato di non aver ordinato la messa in stato di allerta dell’Esercito e che si trattava di attività ordinarie delle Forze armate, anche se in una certa misura rafforzate.
Quello della nottata di sabato, quindi, è solo l’ultimo episodio di una serie che sta di nuovo infiammando il Kosovo. Da quanto si apprende, una pattuglia di agenti è intervenuta dopo una segnalazione su un blocco stradale all’ingresso del villaggio di Banjska: su un ponte erano stati posti due camion privi di targa che rendevano impossibile il passaggio. Subito dopo il loro arrivo, contro gli agenti è stato aperto il fuoco da diverse posizioni e con l’uso anche di bombe a mano. Gli agenti hanno risposto, ma il bilancio della sparatoria è stato pesante. La presidente kosovara, Vjosa Osmani, ha parlato di un episodio pianificato da bande criminali serbe: “Oltre alla severa condanna di questa aperta aggressione della Serbia nei confronti del Kosovo, mi aspetto che i nostri alleati sosterranno Pristina nel suo sforzo di imporre legge e ordine e preservare la sovranità in ogni parte del Kosovo”, si legge in un comunicato.
Il premier Kurti ha detto che gli attacchi armati contro la polizia nel nord del Kosovo proseguono: “Almeno 30 uomini pesantemente armati sono circondati dagli agenti e io chiedo loro di arrendersi”. “Gli attacchi dei gruppi armati continuano. Condanniamo tale attacco criminale e terroristico. Si tratta di crimini sostenuti e organizzati dalla Serbia che aggredisce il nostro Paese”, ha continuato il primo ministro secondo il quale gli uomini armati si sono rifugiati in un monastero serbo ortodosso a Banjska, dove sono circondati dalla polizia kosovara.