“Speravo meglio sull’immigrazione dove abbiamo lavorato tantissimo”. Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in un’intervista al Tg1, ammette la delusione per i risultati su una delle principali promesse elettorali della sua maggioranza, quella di ridurre l’immigrazione irregolare, soprattutto nel Mediterraneo. Del resto i numeri parlano da soli, da mesi. Tanto che dopo un anno sono più di 160mila le persone sbarcate, di cui 132mila nel 2023, a fronte dei 69mila migranti approdati nello stesso periodo dell’anno scorso. “Abbiamo lavorato tantissimo, i risultati non sono quelli che speravamo di vedere. E’ un problema molto complesso, ma sono certa che ne verremo a capo”, promette la premier. E al netto del fallimento si dà un’altra opportunità: “Questo tema merita una seconda fase“. Insomma, si può fare meglio. Ma le cose potrebbero anche peggiorare, perché non esistono solo gli sbarchi a Lampedusa. “L’Italia è oggi più credibile, più stabile, più ascoltata”, sostiene lei. Ma dallo stallo del memorandum con la Tunisia ai rapporti con partner come Francia e Germania, fino alle difficoltà dei sindaci italiani e alle trattative in Europa che promettono di aumentare gli oneri a carico dell’Italia, nulla suggerisce che la seconda fase annunciata da Meloni sarà migliore della prima.

Dovevano fermare i “clandestini”. Invece, complice la crisi economica tunisina e le tensioni che hanno travolto tanti degli stranieri presenti nel Paese, il governo di Giorgia Meloni ha velocemente superato il numero di arrivi registrato negli anni precedenti. A un anno dal suo insediamento gli sbarchi non erano così tanti dal 2017 e visti i numeri recenti anche il record di 180mila sbarchi del 2016 sembra a portata di mano: negli ultimi 12 mesi, da quando l’attuale maggioranza governa, siamo a quota 161mila. I mesi autunnali sono statisticamente più contenuti e se il 2023 di Meloni batterà ogni precedente record dipenderà soprattutto dal meteo. Non certo dalle ong, dalle cui navi quest’anno sono sbarcati solo il 5% dei migranti arrivati via mare. Nel fallimento va dunque conteggiata anche la teoria del pull-factor secondo cui la presenza delle ong nel Mediterraneo sarebbe un fattore di attrazione per le partenze. Non solo uno dei cavalli di battaglia del governo è smentito dai numeri, ma le autorità italiane in difficoltà hanno dovuto chiedere alle navi umanitarie di operare soccorsi, anche multipli e dunque in violazione del decreto Cutro partorito dall’esecutivo che invece li vieta.

Ben prima delle parole di Meloni e oltre i numeri, il fallimento si è materializzato a Lampedusa, dove si sono concentrati gli sbarchi, per lo più provenienti dalla Tunisia nonostante il memorandum fortemente voluto da Meloni e siglato il 16 luglio tra Tunisi e la Commissione europea. Un accordo che, ha recentemente ammesso il ministro degli Interni Matteo Piantedosi, pone “interrogativi sull’effettiva capacità della Tunisia di collaborare”. Una vera e propria capriola all’indietro per chi, con ben altra fiducia, appena due mesi fa ribatteva a chi gli chiedeva conto della promessa di un blocco navale nel Mediterraneo. “Il blocco navale lo stiamo facendo col memorandum firmato in Tunisia”, spiegava il ministro. Invece non c’è stato alcun blocco. Anzi, dalla firma sono sbarcate più di 50mila persone sul totale di 130mila arrivate nell’anno. Il fallimento del governo non è però nei numeri, che dipendono da numerosi altri fattori. È piuttosto nell’aver trasformato la scommessa di bloccare le partenze grazie ad accordi come quello tunisino nell’unica strategia, dimenticando la dimensione interna, a partire da Lampedusa dove negli ultimi 12 mesi sono sbarcati 104mila migranti sui 161mila totali, con 7.000 migranti sull’isola e l’hotspot al collasso come mai prima d’ora. Fallimento è stato non aver gestito i soccorsi come pure era stato fatto dall’Italia in anni di forte pressione, preservando l’isola e progettando i trasferimenti a partire dai salvataggi in mare.

Non solo: fallimentare è finora anche la gestione di quanto deve avvenire dopo lo sbarco. E non avviene, mentre i sindaci – sì, anche tanti di centrodestra – lamentano di essere stati abbandonati, senza risorse nonostante l’esigenza di gestire un’accoglienza che sempre più riguarda minori non accompagnati, che hanno esigenze e diritti peculiari e invece sempre più spesso finiscono insieme agli adulti nei centri di accoglienza straordinaria, simbolo decadente della gestione emergenziale dove il governo ha tolto i fondi a molti servizi trasformandoli in dormitori sovraffollati dove le persone vegetano in attesa dell’esame della loro domanda d’asilo. Sempre più le Regioni in rotta con il governo, che dopo aver depotenziato l’accoglienza diffusa deve fare marcia indietro. Il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini ha incontrato Piantedosi: “Accolgo positivamente l’impegno del ministro a stanziare nei prossimi giorni nuovi fondi per l’accoglienza diffusa, posto che i grandi centri non sono la risposta giusta né per l’accoglienza, né per la sicurezza delle comunità”. Si sgretola così anche il teorema che vorrebbe liquidare la maggior parte dei migranti trattenendoli alla frontiera per sottoporli alla cosiddetta procedura accelerata e passare direttamente ai rimpatri, anche attraverso i centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Un’equazione così fragile che addirittura un leghista come il governatore del Veneto Luca Zaia si è sentito in dovere di smentire il governo e lo stesso Matteo Salvini: “Non si è mai rimpatriato più di 3/4 mila persone l’anno: è come svuotare il mare con un secchio”.

Sono dati ufficiali del ministero degli Interni, ma al governo non sono mai piaciuti (nel 2023 i rimpatri sono 2.700). Per lo stesso motivo la squadra di Meloni tace i numeri dietro ai rapporti con Francia e Germania in particolare. Pietra dello scandalo è il solito regolamento di Dublino, che sulla carta imporrebbe ai Paesi di primo ingresso come l’Italia maggiori oneri perché lascia a noi la competenza di esaminare la domanda d’asilo di chi entra in Europa dai nostri confini, marittimi o terrestri che siano. “Non possiamo diventare il campo profughi d’Europa”, ha ribadito Meloni anche nel suo recente discorso all’Onu. Peccato sia tutto falso e il regolamento di Dublino non abbia mai funzionato. Nell’ultimo decennio 2013-2022, infatti, gli altri Paesi europei hanno avanzato all’Italia richieste perché, in base al regolamento, riammettessimo 310.000 persone. Di questi l’Italia ne ha ripresi solo 35mila. Di più: lo scorso dicembre il nostro Paese ha deliberatamente scelto di sospendere del tutto l’applicazione del regolamento fino a nuovo ordine, che non è mai arrivato. Inoltre, nessuno nel governo cita mai i numeri delle domande d’asilo presentate in Europa. Altrimenti dovrebbe ammettere che nel 2022 i tedeschi hanno ricevuto 217mila domande, il 30% del totale in Ue. Poi c’è la Spagna, poi la Francia, poi l’Austria e solo al quinto posto arriva l’Italia, con il 12% e 77mila richieste. Nel 2023 siamo saliti al quarto posto, ma in rapporto alla popolazione restiamo sotto la media europea.

Che Papa Francesco abbia dunque ragione quando sferza la politica, come ha fatto in Francia, dicendo che “non c’è nessuna invasione, solo propaganda che crea paura”? I numeri sono dalla sua, come riporta Matteo Villa dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale): “Negli ultimi dieci anni sono sbarcate in Italia quasi un milione di persone. Ma oggi l’Istat certifica una situazione che conosciamo da tempo: da un decennio, la popolazione straniera in Italia non cresce”. Compresa quella degli irregolari, che nell’ultimo decennio è sempre rimasta tra le 500mila e le 600mila unità, nonostante gli strali di politici come Meloni e Salvini. Con questo non significa che il problema degli arrivi come delle persone già presenti in Italia non esista, anzi. Ma proprio per questo va gestito, e sta qui il fallimento più pericoloso del governo, nella volontà di abbandonare a se stessa la “dimensione interna“, mentre giura di bloccare le partenze, di sostenere l’Africa con il “piano Mattei”, che ancora deve essere presentato ma già fa a botte con la riduzione dei fondi per lo sviluppo, e soprattutto mentre si lamenta dell’Europa che non fa la sua parte. “All’Ispi – ha scritto Villa – stimiamo che, su 1,1 milioni di persone sbarcate in Italia dal 2011, almeno 700.000 si trovino oggi fuori dal nostro paese. Di queste, circa 65.000 sono state rimpatriate. Ma 640.000 si trovano in un altro paese europeo”.

Con la “dimensione esterna” che per ora non funziona, aumenta il peso specifico dell’azione italiana a Bruxelles, e così i nostri fallimenti. Come già spiegato dal Fatto.it, il sostegno dei partner Ue nella lotta ai trafficanti con la strenua difesa dei nostri confini, primo su tutti quello del Mediterraneo, l’abbiamo pagato caro. Riuniti a giungo nel Consiglio Ue Affari Interni, gli Stati membri hanno voluto ribadire innanzitutto la volontà di mantenere il regolamento di Dublino, allungando i tempi in cui lo stato di primo ingresso rimane competente per le domande d’asilo, e di imporre le procedure accelerate di frontiera con l’effetto di aumentare il numero di migranti in Italia e le conseguenze di cui si è già detto in tema di rimpatri, che dipendono sostanzialmente dalla disponibilità dei paesi di origine di firmare accordi in tal senso. Ma soprattutto, il governo ha ammesso di rinunciare ad ogni possibilità di ottenere una redistribuzione per quote di richiedenti e rifugiati, accettando che l’onere rimanga a carico di 5 o 6 Paesi, come accade oggi. Insomma, se anche di fallimento dell’Europa è doveroso parlare, anche a quel fallimento sta partecipando questo governo, che continua a difendere la linea di Paesi come Polonia e Ungheria che non ammettono alcuna forma di solidarietà.

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