di Giovanni Ceriani
Affrontare a fondo la vicenda politica di Giorgio Napolitano, la sua traiettoria politica come pure la sua incidenza sulla vita politica italiana e dentro le trame della vita politica italiana, oltre che essere un’ottima occasione per ripassarne criticamente gli snodi più tragici, misteriosi e inconfessabili, appare pure una indifferibile necessità: politicamente indifferibile, perché occasione formidabile per liberarci di quella coltre di pensiero posticcio che con il suo operare ha completamente obnubilato la mente della sedicente sinistra politica italiana. Almeno quella ufficiale. Quanto alla sinistra eretica, questa ha già scelto altre e più fruttuose strade, avendo appunto dismesso gli occhiali-di-ordinanza.
La vicenda politica incarnata da Giorgio Napolitano infatti mostra in maniera chiara e lineare una tendenza presente dentro quel mondo (della sinistra doc) e che quel mondo per anni ha tenuto a bada, fidandosi e affidandosi a guide e testimoni ben più coraggiosi, fedeli e trasparenti: Enrico Berlinguer, in primis. Ma è stata una tendenza (meglio: una deviazione) che poi nei momenti decisivi (cioè tragici: quelli del “caos organizzato” o “soft golpe”) ha avuto la meglio, finendo per snervare il suo anticorpo costituzionale (anche dentro il suo stesso partito) e, a sua volta, farsi-partito, farsi-egemonia, anzi, dominio. Il dominio della “terza via” o “riformismo liberal” che poi di fatto è il dominio delle larghe intese, intese (appunto) come Grande Centro, come Grande Allineamento (anche tecnocratico): insomma come eliminazione delle ali estreme, massimaliste o populiste; ieri i comunisti, oggi i grillini.
Eccolo il senso delle “grandi intese ad ogni costo”: perché “ad ogni costo” andavano tenuti fuori dalle stanze del potere questi testimoni scomodi, questi nuovi giacobini, capaci con la loro novità e libertà di squarciare il velo, di svelare la falsità dell’ammucchiata. Di denunciare che… il re (Giorgio) è nudo. Un’ammucchiata dunque non per necessità o impossibilità di alternative, ma al contrario per preciso interesse: per precisa e “gratuita” scelta di abolire le alternative esistenti. Con le buone o meno buone maniere.
Di questa vicenda politica, Giorgio Napolitano è stato un fulcro importante – in particolare dentro al suo campo – e dietro l’apparente moderazione di modi, “sobrietà” di carattere e impalpabilità di movenze, ha bruciato la fiamma morbosa di questo suo (purtroppo fecondo) agire e mandato politico. Il suo è stato il canovaccio della deviazione “riformista”, tecnocratica e atlantista: la deviazione di un mondo che in tutti i momenti decisivi ha scelto la parte sbagliata, contornandosi di amici sbagliati e inventandosi dei nemici sbagliati.
Eccolo Re Giorgio, il perfetto allineato come perfetto anti-progressista. Il suo “centrosinistra”, la sua “terza via”, i suoi “terzi poli”, le sue “larghe intese ad ogni costo” sono (e sono stati) lo strumento politico di lotta, pressione e sabotaggio anti-progressista. Ma attenzione: le sue scelte sbagliate, i suoi governi sbagliati, le sue intrusioni sbagliate sono state al tempo stesso la più forte spinta all’affermazione di questi movimenti populisti-progressisti, movimenti dal basso, con istanze di giustizia sociale, democrazia reale e… “questione morale” (linea Berlinguer). Strana ma giusta nemesi storica e politica di un allineato-dalla-parte-sbagliata. Perché si può essere di sinistra, si può stare coi “buoni”, si può essere “comunisti”, ma se in tutti i momenti decisivi si è precisamente e pure arrogantemente dalla parte sbagliata significa che non è colpa o errore, ma ben precisa linea e mandato politico.
Renzi e il renzismo pertanto, in questo quadro e di questo disegno, non sono una deviazione o un errore, ma ne sono il compimento e svelamento esatto: sia nella sua vicenda di segretario del Pd, sia in quella di sabotatore del Conte II e del progetto, scommessa, eresia giallorossa.
Di questo mandato dovremo parlare. A lungo e a fondo.