Il 21 gennaio del 1994 Giuseppe Graviano è nel centro di Roma, in via Veneto: a pochi metri c’è l’ambasciata degli Stati Uniti, poi tutta una serie di alberghi di lusso. Come il Majestic, dove in quei giorni alloggia Marcello Dell’Utri. Ormai da molti anni l’ex dipendente di Rapisarda è tornato a lavorare per Berlusconi. È stato il suo braccio destro nella nuova avventura imprenditoriale delle tv commerciali e lo è anche nell’ultimo delicatissimo progetto: creare una nuova forza politica. È per questo motivo che Dell’Utri è al Majestic: sta definendo gli ultimi dettagli prima di svelare al Paese la sua creatura, Forza Italia, il partito che tre mesi dopo vincerà le elezioni. Quelli sono giorni frenetici: Dell’Utri si muove tra la sua suite e una saletta riservata dove incontra gente per tutto il giorno: riceve una o massimo due persone per volta. Molti anni dopo il cameriere dell’albergo che andava a prendere le ordinazioni ricorderà che spesso gli ospiti di Dell’Utri parlavano con un evidente accento del Sud: sono siciliani, forse qualcuno è calabrese. Giunto davanti al bar Doney, Graviano dà un’occhiata dentro: poi guarda l’orologio, si ferma e aspetta. Passano pochi minuti e compare Gaspare Spatuzza, uno dei suoi uomini più fidati. I due entrano al bar, si siedono, ordinano qualcosa da bere. Il boss è felice, ha un’aria gioiosa, come se avesse vinto alla lotteria: a Spatuzza spiega che loro, cioè i mafiosi, hanno appena ottenuto tutto quello che cercavano. Che grazie a persone serie che avevano portato avanti la cosa, sempre loro si erano “messi il Paese nella mani”. Chi sono queste persone serie? Il mafioso fa il nome di Berlusconi, “quello di Canale 5”, e del “compaesano nostro”, cioè Dell’Utri. Poi, però, dice a Spatuzza che occorreva dare un altro “colpetto”, quello “di grazia”: bisognava fare un attentato contro i carabinieri. Spatuzza esegue, ma viene tradito dall’elettronica: due giorni dopo il telecomando che avrebbe dovuto attivare l’autobomba piazzata all’ingresso dello stadio Olimpico non funziona. Quel giorno si gioca Roma-Udinese, c’è un sacco di gente in giro: tifosi, famiglie, carabinieri del servizio d’ordine: sarebbe stato un massacro. Passano altre 48 ore e Berlusconi annuncia la sua discesa in campo col celebre discorso sull’Italia che è “il Paese che amo”. Graviano, nel frattempo, è ormai tornato nel Nord Italia, dove da qualche tempo trascorre la sua latitanza. Il boss di Brancaccio si muove tra Omegna, il paesotto sul lago d’Orta dove è ospite di Baiardo, e Milano. Il 27 gennaio va a cena con alcuni amici al ristorante “Gigi il cacciatore” di via Procaccini, in zona cimitero Monumentale: non fa in tempo a sfogliare il menù che nel locale arrivano i carabinieri. Graviano finisce in manette e le bombe si fermano di colpo: perché? Se l’ordine era di dare un altro “colpetto“, perché l’attentato all’Olimpico non viene replicato? Spatuzza e gli altri killer restano comunque in libertà, come liberi sono pure Messina Denaro, Bagarella, Brusca: qualcuno ha ordinato lo stop alle stragi? E perché?
Mafie
LA FINE DELLE BOMBE - 18/19
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