Di sicuro c’è solo che da quel momento iniziano a cadere nella rete quasi tutti i protagonisti di quella stagione di terrore. Tutti tranne uno. C’è chi si è pentito, chi è rimasto muto fino alla fine dei suoi giorni, chi dopo anni di silenzio ha cominciato a mandare strani messaggi. È quello che ha fatto Graviano: alcuni anni fa ha parlato di “imprenditori del nord che non volevano fermare le stragi”, sostenendo di aver avuto rapporti economici con Berlusconi, incontrato per tre volte a Milano. Brusca, invece, fa parte di quelli che hanno saltato il fosso per collaborare con i magistrati. Tra le altre cose, ha raccontato di una chiacchierata tra mafiosi. Si parlava di orologi di valore. A un certo punto, è Messina Denaro a intervenire: “Graviano ne ha visto uno al polso di Berlusconi che vale 500 milioni”. Brusca lo guarda e chiede: “Ma perché? Si vedono”. Il mafioso fa sì con la testa. Berlusconi, ovviamente, ha sempre smentito ogni virgola di questa storia, facendo annunciare querele dai suoi avvocati. Denunce che finora non risulta siano arrivate, a diversi mesi dalla scomparsa dell’ex presidente del consiglio. Che è morto mentre la procura di Firenze indagava ancora su di lui e su Dell’Utri: li sospetta di aver avuto un ruolo nelle stragi del 1993, quelle pianificate proprio da Messina Denaro e Graviano, il “secchio e la corda”, i pupilli di Riina. Il primo è riuscito a rimanere latitante per quasi trent’anni e alla fine al carcere duro ci trascorso solo qualche mese. Il secondo, invece, sta al 41 bis dal 1994, da quel blitz al ristorante Gigi il cacciatore. Oggi è lui l’ultimo boss a conoscere la verità delle stragi.

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