Nato a Castelvetrano nell’aprile del 1962, su quello che è stato l’ultimo superlatitante di Cosa nostra sono stati scritti centinaia di articoli, decine di libri, informative d’indagine lunghe migliaia e migliaia di pagine. Per mesi, dopo l’arresto, tv e giornali hanno raccontato tutto della sua vita a Campobello di Mazara: i libri che leggeva, i film che vedeva, le donne che frequentava. Inviava centinaia di messaggi whatsapp alle ragazze che con lui facevano la chemioterapia, si metteva in posa per un selfie coi medici che lo curavano, portava in ospedale litri e litri di olio d’oliva in regalo alle infermiere. Possibile che il ricercato numero uno d’Italia avesse questo tipo di condotta? In realtà, dopo l’arresto, racconterà di essere stato costretto a modificare il proprio stile di vita a causa della malattia. “Io telefonini non ne avevo, non avevo niente e perché sapevo che appena nasceva un telefonino…se mi mettevo con la modernità andavo a sbattere”, racconterà a De Lucia e Guido. Poi, però, scopre di avere un tumore e per farsi curare non può più essere un fantasma, ma deve tornare a casa. “Ora che ho la malattia – raccontava ai pm – non posso stare più fuori, debbo ritornare qua perchè mi gestivo meglio nel mio ambiente“. Ed è sempre per colpa del tumore che deve cominciare a munirsi di cellulare: “Sono costretto, perché nel momento in cui si va in un ospedale o anche al cinema la prima cosa che chiedono nome, cognome e telefonino“. Ma prima del tumore, prima che la malattia lo costringesse a tornare nei dintorni di casa sua, dove ha trascorso la latitanza? Come riusciva a comunicare, a spostarsi, a viaggiare? Come ha fatto a evitare l’arresto per quasi trent’anni, continuando a gestire un patrimonio miliardario?
Mafie
I MISTERI DELLA LATITANZA - 3/19
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