Forse una traccia sta nei soprannomi: anche se lo chiamavano ‘u Siccu lui preferiva Diabolik, mentre i mafiosi lo indicavano nei pizzini come “quello dell’acqua”. “quello dell’olio”. Poi ci sono gli alias, le false identità usate negli ultimi tre decenni: quella del suo amico Paolo Forte ai tempi delle stragi, quella di un tale Giuseppe Adragna in epoca più recente. Negli ultimi tempi, per farsi curare da latitante, era riuscito a farsi prestare l’identità da Andrea Bonafede, un geometra incensurato che però era nipote del boss di Campobello di Mazara. In questo modo poteva avere le prescrizioni di cui aveva bisogno da Alfonso Tumbarello, il medico del paese, noto esponente della massoneria locale. Tumbarello era vicino a un altro massone, Tonino Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, già condannato per traffico di stupefacenti. Amico di don Ciccio Messina Denaro, Vaccarino è Svetonio, il nom de plume usato in una fitta corrispondenza con un tale Alessio. Chi è Alessio? Sempre Messina Denaro. In quelle lettere il boss cita Jorge Amado, parla di Bettino Craxi e di Toni Negri, sostiene di essere “diventato il Malaussène di tutti e di tutto”, come il personaggio inventato da Daniel Pennac, che di professione fa il capro espiatorio. Poi, a un certo punto, a Svetonio arriva un’ultima lettera: “Lei ha buttato la sua famiglia in un inferno. La sua illustre persona fa già parte del mio testamento. In mia mancanza, verrà qualcuno a riscuotere il credito che ho nei suoi confronti”. A scrivere non è più Alessio ma uno che si firma così: “M. Messina Denaro”. Che cosa era successo? Semplice, il boss si era accorto che Vaccarino portava avanti quella corrispondenza d’accordo coi servizi segreti, cioè il Sisde di Mario Mori. “Volevo farlo stare sempre con la paura, ma non gli volevo fare niente”, sosterrà il capomafia dopo l’arresto. E in effetti Vaccarino non viene ucciso dalla mafia, ma dal Covid.
Mafie
LETTERE A SVETONIO - 7/19
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