Era vestito di tutto punto, con giacca e cravatta, adagiato lungo il muro di cinta che delimitava un uliveto. Il corpo di Francesco Messina Denaro era pronto per il funerale, quando venne ritrovato nelle campagne del Trapanese: era il 30 novembre 1998 e il patriarca di Cosa nostra era latitante da otto anni. La famiglia del boss di Castelvetrano, però, non riuscì a ottenere per il defunto esequie religiose, che vennero vietate per questioni di ordine pubblica. Lo stesso avverrà per Matteo Messina Denaro, l’erede di don Ciccio, morto nella notte all’ospedale dell’Aquila. Ma stavolta non sarà solo per una questione di sicurezza.
Il santino in tasca il giorno dell’arresto – A rifiutare il funerale religioso, infatti, è stato lo stesso boss delle stragi. A differenza degli altri capimafia, come Totò Riina e Michele Greco, Messina Denaro non ha mai messo in mostra una particolare vicinanza alla religione. Nel suo covo non teneva nessuna Bibbia, al contrario di Bernardo Provenzano, circondato da testi sacri nel casolare di Montagna dei Cavalli, nei pressi di Corleone, dove venne arrestato l’11 aprile del 2006. Certo nell’appartamento di Campobello di Mazara, dove Messina Denaro ha trascorso l’ultimo periodo della sua latitanza, i carabinieri del Ros hanno trovato anche un poster che raffigurava il volto di Gesù Cristo, ma si trattava di immagini motivazionali in inglese: “Sii forte quando sei debole, sii coraggioso quando sei impaurito, sii umile quando sei vittorioso, sii eccezionale ogni giorno”. E anche se Messina Denaro teneva un’immagine del Sacro Cuore di Gesù nel portafogli, il giorno dell’arresto, a spiegare quale fosse il suo rapporto con la religione è stato lui stesso. Durante uno degli interrogatori con Maurizio De Lucia e Paolo Guido, i magistrati che lo hanno arrestato, il boss ha infatti spiegato: “Io non sono credente, non ateo, sono agnostico ma non bestemmio, la mia bestemmia è porco mondo”. Un’affermazione usata per giustificare gli insulti che aveva lanciato nei confronti di Giovanni Falcone, in una nota audio inviata a una sua amica, nel giorno della commemorazione della strage di Capaci, rilanciata dalle televisioni.
Nei pizzini il testamento dell’ex latitante – A testimoniare il rapporto complicato tra Messina Denaro e la religione sono anche alcuni appunti ritrovati nel suo ultimo covo, che risalgono al 2013. “Rifiuto ogni celebrazione religiosa perché fatta di uomini immondi che vivono nell’odio e nel peccato”, scriveva Messina Denaro prima di ammalarsi di tumore, immaginando un suo ipotetico funerale. E ancora, aggiungeva: “Non sono coloro che si proclamano i soldati di Dio a poter decidere e giustiziare il mio corpo esanime non saranno questi a rifiutare le mie esequie”. Erano i giorni in cui veniva beatificato padre Pino Puglisi, il sacerdote di Brancaccio ucciso per ordine di Giuseppe Graviano, che di Messina Denaro era il “gemello diverso”: in quell’occasione la Chiesa aveva rilanciato la scomunica per gli esponenti di Cosa nostra, vietando il funerale per i mafiosi. “Il rapporto con Dio è personale, non vuole intermediari e soprattutto non vuole alcun esecutore terreno. Gli anatemi sono espressioni umane non certo di chi è solo spirito e perdono”, appuntava con astio Messina Denaro.
Lettere a Svetonio: “Ho smarrito la fede” – Un tono molto diverso da quello usato, sempre a proposito del suo rapporto con la religione, nel lungo scambio epistolare con Tonino Vaccarino, l’ex sindaco di Castelvetrano che era amico di suo padre. “Ci fu un tempo in cui avevo la fede, poi ad un tratto mi resi conto che qualcosa dentro di me si era rotta, mi resi conto di aver smarrito la mia fede, ma non ho fatto nulla per ritrovarla. In fondo ci vivo bene così. Mi sono convinto che dopo la vita c’ è il nulla e sto vivendo per come il fato mi ha destinato”, scriveva il boss sotto lo pseudonimo di Alessio a Vaccarino, che invece era Svetonio. Quel lungo rapporto epistolare, in realtà, era stato organizzato dal Sisde di Mario Mori e sarebbe servito per arrestare il latitante. Un’operazione mai completamente chiarita, come spesso capita nelle vicende di mafia e intelligence. Più volte, in passato, si è messo in dubbio che le lettere di Alessio fossero scritte davvero da Messina Denaro. Ma a confermare l’autenticità di quello scambio è stato lo stesso capomafia, che interrogato dai pm ha pure sostenuto di avere capito in anticipo il tradimento di Vaccarino. È infatti all’ex sindaco di Castelvetrano era arrivata un’ultima lettera: “Lei ha buttato la sua famiglia in un inferno. La sua illustre persona fa già parte del mio testamento. In mia mancanza, verrà qualcuno a riscuotere il credito che ho nei suoi confronti”. A scrivere non è più Alessio ma uno che si firmava così: M. Messina Denaro. “Volevo farlo stare sempre con la paura, ma non gli volevo fare niente”, sosterrà il capomafia dopo l’arresto. E in effetti Vaccarino non è stato ucciso dalla mafia, ma dal Covid.