Calogero Germanà, per tutti Rino, ex questore ora in pensione, alla fine degli anni ’80 era il capo della squadra mobile di Trapani. In quella veste convocava nel suo ufficio più volte Matteo Messina Denaro come persona informata dei fatti. Il pm Gabriele Paci nella sua requisitoria al processo contro il boss disse che Matteo non gradiva le attese e le domande ficcanti. Non a caso, quando era dirigente del commissariato a Mazara del Vallo, Germanà fu vittima di un agguato al quale partecipò il trentenne Matteo il 14 settembre del 1992. Gli abbiamo chiesto un suo ricordo del capomafia.
Lei Messina Denaro lo ha conosciuto bene. Cosa ricorda di quegli incontri nel suo ufficio di 35 anni fa?
Certo, lo chiamavo spesso nel mio ufficio e lo obbligavo a rispondere alle mie domande e lui non gradiva. Lo convocai anche per un omicidio che secondo la nostra ipotesi investigativa era stato fatto dal gruppo di Campobello di Mazara. Ne parlai anche con il procuratore Borsellino. Noi facemmo a Matteo Messina Denaro l’esame dello ‘stub’ per vedere se aveva sparato lui. Fu negativo ma la pista investigativa non era sbagliata perché il gruppo di fuoco poi si è verificato fosse di Campobello di Mazara.
E quasi 35 anni dopo il suo covo era proprio lì a Campobello. Si è stupito?
No. Quando uno è malato torna nel suo ambiente. Questo è il frutto di una mentalità mafiosa e prima ancora siciliana. Il boss di Campobello, Leonardo Bonafede, (il padre di Laura e lo zio di Andrea Bonafede, arrestati nel 2023 per favoreggiamento del boss, ndr) già allora emergeva in altre indagini.
Che tipo era Messina Denaro?
Era sicuro del fatto suo, era uno fermo, sapeva il fatto suo. Io però ho chiamato più volte non solo lui. Pure il padre Francesco, che allora era il capo mandamento. Tutti parlano di Matteo ma prima c’era Francesco, un personaggio di peso all’antica.
Poi Matteo se lo ritrova davanti qualche anno dopo, il 14 settembre del 1992, quando le sparano sul lungomare e lei fugge sulla spiaggia dopo aver reagito sparando…
Si ma è Totò Riina che ha dato l’ordine, non Matteo.
Lei ricorda Messina Denaro cosa fece quel giorno quando dalla Fiat Tipo con a bordo Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano arrivarono gli spari?
No, non avrei saputo riconoscerlo in quella situazione. Non è come un film che azioni la telecamera e l’occhio registra tutti i particolari. Io so che mi ha sparato per primo quello che stava seduto accanto al guidatore e dicono fosse Bagarella. Ricordo solo le fattezze di quello che mi ha sparato ma Messina Denaro era alla guida… e non ho visto lui e neanche quello che stava seduto dietro. Di sicuro due spararono, uno teneva il kalashnikov e l’altro aveva un fucile caricato a pallettoni. Io ho reagito, sono andati via, poi sono tornati e hanno sparato ancora e io sono fuggito sulla spiaggia, la storia è nota.
Quindi Matteo Messina Denaro non le ha sparato?
Sì è così e lui dice che se avesse sparato lui non avrebbe sbagliato e io non sarei vivo. Lui dice che era bravo a sparare. Ma io mi chiedo, che bravura ci vuole a sparare a uno che non sa di essere nel mirino? Vogliamo dire che è bravo chi spara per uccidere un uomo che sta camminando? Per me sono capaci tutti.
Ora Messina Denaro è morto…
Una volta il procuratore Borrelli di Milano dopo la morte di un uomo coinvolto nelle indagini che si era ucciso disse che di fronte a un morto bisogna avere sempre pietà. Io condivido ma aggiungo che lui ha certamente seminato morte e distruzione e quindi dovrà risponderne davanti a Dio, per chi crede.