Il 3 settembre il governo siriano ha promulgato il decreto n. 32, col quale è stato abrogato il decreto n. 109 del 17 agosto 1967 che aveva istituito i tribunali militari da campo. Cosa siano state e come abbiano funzionato queste corti della giustizia militare lo racconta un meticoloso rapporto della Rete siriana per i diritti umani, che già dal titolo dice tutto: “Uno strumento di morte e di sparizione”.
Per quei tribunali militari da campo, un vero e proprio simulacro di giustizia, sono passate decine di migliaia di attivisti, oppositori e dissidenti, condannati a morte dopo processi durati a volte anche un solo minuto o scomparsi nel nulla.
Nonostante la segretezza che circonda l’operato dei numerosi servizi militari siriani, la Rete siriana per i diritti umani è riuscita a ricostruire – grazie a 156 testimonianze di familiari di prigionieri, esperti di legge e disertori – gli ultimi 12 anni di attività di quei tribunali, ossia dal 2011, l’anno della rivolta diventata poi uno spaventoso conflitto armato. I numeri sono agghiaccianti: quasi 15.000 condanne a morte, 8.000 delle quali eseguite (le altre sono state poi commutate a seguito di vari provvedimenti extragiudiziari di clemenza) e più di 24.000 sparizioni di persone che si trovavano sotto la giurisdizione dei tribunali. Una vera e propria macchina della morte in funzione 24 ore su 24.
Inutile dire che quei tribunali fossero privi di qualunque garanzia sui processi equi, a partire dall’assenza degli avvocati per arrivare all’inappellabilità delle sentenze.
Il rapporto della Rete siriana per i diritti umani contiene una serie di raccomandazioni alle Nazioni Unite affinché siano attuate le varie risoluzioni sui diritti umani in Siria, in particolare quella approvata alla fine di giugno, che ha istituito un meccanismo internazionale d’indagine sulle vittime di sparizione forzata nel paese.