Troppo facile prendersela con Garcia. C’è una squadra che l’anno scorso aveva dominato la Serie A e ora pare tatticamente e fisicamente allo sbando, i due giocatori simbolo da fenomeni diventati irriconoscibili, una città intera passata dall’euforia sfrenata alla sfiducia. Ma nessun allenatore, neanche il più scarso del mondo, sarebbe capace di compiere un simile disastro in così poco tempo. La verità è che Spalletti ci aveva messo due anni a costruire il suo Napoli, quello dello storico scudetto. E Aurelio De Laurentiis rischia di averlo spazzato via in due mesi.

Meno sette dall’Inter capolista, terza partita non vinta su cinque, l’anno scorso era arrivata solo a gennaio. Più della classifica, più dei numeri, però, ad allarmare sono gli sguardi, i gesti, le prestazioni. Vedere Osimhen, che era il terminale implacabile di una macchina da guerra, vagare confuso negli enormi spazi vuoti lasciati dai compagni, e quindi perdere lucidità come sul rigore decisivo di domenica. Il pressing meno efficace, la squadra più slegata. Anche certi atteggiamenti dopo i cambi, domenica scorsa di Kvaratskhelia, ieri di Osimhen, sintomo di un nervosismo neanche troppo latente.

In questi casi sul banco degli imputati finisce sempre l’allenatore e Garcia sicuramente non si sta aiutando. Poteva entrare in punta di piedi in una squadra che sembrava perfetta, provare a sfruttare almeno per i primi mesi lo slancio (un po’ come fece, in maniera molto intelligente, Allegri alla Juve quando raccolse l’eredità di Conte). Invece si è mosso con la grazia di un elefante in una cristalleria, cambiando posizioni e stravolgendo meccanismi, dai movimenti in attacco alla regia in mezzo al campo di Lobotka. Non sappiamo se per scelta o per necessità, perché ha peccato di presunzione o si è reso conto che il giocattolo era ormai rotto e bisognava cambiare subito. Sta di fatto che la cesura col passato, inevitabile, è arrivata in maniera più traumatica e repentina del previsto. Il Napoli vecchio non esiste più, quello nuovo non è ancora pronto.

Si sta verificando esattamente ciò che si poteva immaginare in estate. De Laurentiis non è riuscito a trattenere Spalletti e Giuntoli (inutile stabilire oggi di chi sia stata davvero la colpa) e soprattutto non li ha voluti sostituire in maniera adeguata: ha puntato su Rudi Garcia, allenatore di secondo piano che era finito in Arabia prima che l’Arabia diventasse l’eldorado del pallone, per dimostrare a tutti di essere l’unico artefice dello scudetto. E non gli ha nemmeno messo in mano una corazzata, con un mercato fatto tutto di scommesse. Il campo per ora gli sta dando torto. Era abbastanza evidente a tutti (tranne forse che a De Laurentiis) quanto profonda fosse la mano di Spalletti nello scudetto e che il suo addio non poteva essere indolore. Ci aveva messo due anni a plasmare quella squadra perfetta, nella tattica, nelle gambe e nella testa, e le scelte degli ultimi due mesi, per modi e tempi con cui sono state prese, hanno spazzato via quel lavoro.

Il campionato è ancora lunghissimo e anche se i segnali non sono dei migliori, esonerare Garcia alla quinta giornata sarebbe ingeneroso e prematuro, semplicemente assurdo. Soprattutto significherebbe ammettere di aver sbagliato ed è l’ultima cosa che passa per la testa al patron. “Il Napoli riparte da Bologna. Bravi tutti”, ha twittato domenica, ostentando una fiducia e una soddisfazione che in un periodo così suonano quasi come una provocazione. Dopo averlo scelto, è giusto dare tempo a Garcia, col rischio però che poi sia troppo tardi per lo scudetto, ammesso sia quello l’obiettivo (il tecnico francese continua a parlare di quarto posto e qualificazione in Champions e forse non è un caso). Certo però a quel punto una domanda sarà inevitabile: se De Laurentiis era davvero l’unico artefice del trionfo azzurro, in quanto dominus assoluto del Napoli calcio, chi sarebbe il responsabile della sconfitta?

Twitter: @lVendemiale

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