Ci sono due maxi schermi in piazza Montecitorio per i funerali di Giorgio Napolitano. Ma non c’è praticamente nessuno, un centinaio di persone, forse poco più. In compenso, nell’Aula della Camera si riunisce quello che è stato il suo sistema di riferimento. I protagonisti reduci di una stagione, che però ancora oggi tentano di dettare la linea, di indirizzare la politica, di gestire il potere. È proprio la scelta di svolgere un funerale laico dentro la Camera la scena più forte, per non dire impressionante. È la rivendicazione di una vita vissuta nel segno della politica, in cui il personale diventa pubblico, pure nel momento finale. In cui gli errori, di cui parla il figlio, Giulio Napolitano, diventano parte di un tutto, che viene legittimato nuovamente. Mentre la bara passa nel Transatlantico, l’emiciclo offre uno spettacolo già di per sé eloquente.

In prima fila ci sono gli ex premier, l’uno accanto all’altro, evidentemente loro malgrado. Massimo D’Alema e Romano Prodi. E poi, dopo Mario Monti, Enrico Letta e Giuseppe Conte. Mentre la prima coppia discute in maniera apparentemente amabile, la seconda esibisce il gelo. Troppo recente la rottura, preludio della vittoria del centrodestra alle elezioni. Mario Draghi sceglie di distinguersi, si siede tra Pierferdinando Casini e Piero Grasso. Manca Matteo Renzi, che arriverà solo alla fine. Non è andato neanche alla Camera ardente, ma appena finisce la cerimonia non risparmia battute e aneddoti per tutti. A Re Giorgio deve l’arrivo a Palazzo Chigi, ma pure l’uscita rovinosa, con la sconfitta del referendum costituzionale per le riforme tanto volute dal Presidente, e però stravolte dall’allora premier. Non ha il phisyque du role del bravo figlio, come Letta, che pure da Napolitano venne sacrificato per far posto al fu Rottamatore, sulla carta miglior garante anche per lui.

Si intravedono seduti Giuliano Ferrara e Maurizio Landini, Gianfranco Fini e Fausto Bertinotti. I banchi del governo trasudano gelo. Manca Daniela Santanché, in evidente difficoltà. Giorgia Meloni arriva all’ultimo secondo, espressione impietrita. Entrano alla fine anche Emanuel Macron e Frank-Walter Steinmeier, presidente federale della Germania. Un omaggio al Presidente emerito, ma anche un segnale: l’Italia deve essere quella che lui ha tanto contribuito a condizionare, con un rapporto privilegiato con Francia e Germania. Sergio Mattarella entra e si siede di fronte agli scranni del governo, dove, poco più su, c’è Giuliano Amato, ex Presidente della Consulta, che dovrà intervenire. È l’Italia delle larghe intese, l’Italia atlantista, l’Italia che ha cercato in tutti i modi di espellere i Cinque Stelle dal sistema. E nei discorsi che si susseguono, uno dopo l’altro, c’è una rivendicazione esplicita di tutto questo. Oltre a una serie di messaggi incrociati, di veleni sottintesi. Se è per il figlio, Giulio “ha sempre guardato alla Costituzione, il suo era un patriottismo costituzionale”. Mentre il passaggio più denso di Anna Finocchiaro è quello in cui ricorda il suo atteggiamento durante Tangentopoli: “Nel febbraio del 93 oppone l’immunità di sede alla Guardia di Finanza delegata dalla Procura di Milano all’acquisizione di atti (peraltro già pubblici), nel maggio convoca la Giunta per il Regolamento per rendere palese il voto sulle autorizzazioni a procedere”.

Ma sono Gianni Letta e Amato a spingersi ancora oltre “Dopo Berlusconi, Napolitano, a tre mesi l’uno dall’altro. Mi piace immaginare che incontrandosi lassù, possano dirsi quello che forse non si dissero quaggiù e, placata ogni polemica, possano anche chiarirsi e ritrovarsi nella luce”, dice Letta, che insiste continuamente sui rapporti tra i due. Al netto della chiamata in causa del Paradiso, un tentativo postumo di smentire il ruolo avuto da Napolitano nella sostituzione del Caimano con Mario Monti. E – ancora una volta – un suggerimento per il futuro. Non solo. Letta senior adombra uno dei temi che aleggia nell’aria, ovvero il ruolo del Presidente emerito nel cambiamento della stessa natura della figura del Capo dello Stato. Anche qui, la sua lettura è politica, quando dice che è andato oltre il ruolo di “notaio”, pur nel rispetto della Carta.

Amato ci tiene a suggellare due concetti. Tanto è vero che è l’unico che evoca la Trattativa Stato-mafia, pur nella difesa strenua dell’operato dell’allora Presidente: “Arrivò a sollevare un conflitto d’attribuzioni dopo la dolorosa vicenda che portò alla morte di Loris D’Ambrosio, suo collaboratore ed amico, e nella quale telefonate dello stesso Presidente risultavano, sia pur casualmente, acquisite a un processo senza essere immediatamente distrutte. Su questo sollevò il conflitto, convinto che lasciare alle ordinarie procedure processuali la distruzione di quelle telefonate ne avrebbe consentito comunque la conoscenza minando la figura stessa della Capo dello Stato in tutte le sue attribuzione. La Corte Costituzionale, che io non presiedevo, gli dette ragione”. E poi difende la scelta di non mandare alle Camere un governo “allo sbando”, ovvero senza numeri. Il riferimento sembra evidentemente a quando non volle dare l’incarico a Pierluigi Bersani, dopo la “non vittoria” del 2013, scegliendo invece di portare a Palazzo Chigi Enrico Letta e le larghe intese. A leggere la funzione, oltre ad ascoltare le parole, è chiaro che Paolo Gentiloni, Commissario europeo per gli Affari economici, lodando l’europeismo di Napolitano, rappresenta anche la figura che incarna la continuità, quella che lavora per la maggioranza Ursula, anche dopo le elezioni di giugno. E sta al Cardinal Ravasi ricordare, attraverso il comune amore per Thomas Mann, il suo rapporto con Ratzinger.

L’unico momento di vera emotività è affidato alle parole della nipote Sofia. Ma l’emotività è tutta in quel consacrare la Camera come seconda casa, come lui stesso aveva detto più volte. L’emotività era tangibile un’altra volta, ormai più di 10 anni fa, quando in occasione della sua rielezione, per manifesta incapacità dei partiti di trovare un altro Presidente, quegli stessi partiti in blocco lo applaudivano e lo osannavano. Molti protagonisti di quella fase allora avevano le lacrime agli occhi. Non di commozione.

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