“Capanna“. “Vico dei tossici“. Le due cugine di 12 e 10 anni li chiamavano così: due nomi diversi per indicare i due non luoghi divenuti teatro di questa storia indicibile, un’isola ecologica e un campo di calcio, entrambi abbandonati a se stessi. Qui, secondo il racconto degli inquirenti, si sono consumate le violenze sessuali di gruppo ai danni delle due ragazzine di Caivano. “Innumerevoli episodi” che hanno portato all’arresto di 9 persone, di cui 7 minorenni. E che negli atti dell’inchiesta vengono descritti con dovizia di particolari. Particolari raccapriccianti, che non possono essere riportati. Nelle carte si legge che “le violenze sessuali di gruppo” si sono verificate “innumerevoli nell’arco di soli due mesi“, tra giugno e luglio scorsi e sarebbero di sicuro proseguite se la madre di una delle due giovani vittime e il padre dell’altro non avessero dato il via all’inchiesta con le loro denunce.
Violenze di gruppo ma non solo – Minacce e violenze. Sì, perché in alcuni casi gli indagati sottraevano dalle mani delle vittime i loro cellulari per ricattarle, per costringerle ad avere rapporti sessuali in cambio della restituzione del telefono. Altre volte minacciavano di dire tutto ai loro genitori. Oltre agli stupri di gruppo, però, vengono contestate agli indagati anche singoli episodi di violenza, nei quali le giovani vittime venivano minacciate in vario modo e poi costrette ad avere rapporti. Tra gli altri episodi, negli atti dell’inchiesta c’è anche un tentativo di stupro in un centro commerciale di Marcianise. La vittima, grazie alla sua intraprendenza, è riuscita a divincolarsi: all’aggressore ha sferrato un calcio, poi ha cercato di scappare, ma l’assalitore, per fermarla, prima le ha fatto uno sgambetto e poi le ha sferrato un pugno al viso, finito però contro una delle porte di emergenza in quanto la ragazzina è riuscita a schivarlo. In questo caso l’incontro, risalente al marzo scorso, fu fortuito: la bambina era andata al centro commerciale insieme con le sue amiche e venne presa di mira nel momento in cui era da sola.
Anche revenge porn tra i reati contestati – Un altro salto nell’indicibile: uno degli indagati, dopo aver chiesto a una delle vittime su Instagram di fidanzarsi con lui, l’ha costretta a subire rapporti sessuali sotto la minaccia di un bastone, sempre all’interno del “vicolo dei tossici“. E ancora: a luglio scorso, uno degli indagati provò a estorcere sesso alle due bambine minacciando di divulgare i video girati dal branco in una precedente occasione. Riuscirono a divincolarsi prendendolo a morsi su un braccio. Poi la svolta. “Io sono un tuo amico, girano video sporchi”: fu un messaggio proveniente da un profilo Instagram sconosciuto ad avvertire un cugino di una delle bambine che stava accadendo qualcosa di brutto. È riportato nella denuncia del 30 luglio che ha dato il via all’inchiesta che oggi ha portato agli arresti. Quella segnalazione, del resto, era vera: un video di circa un minuto e mezzo è stato infatti rinvenuto sul cellulare di due ragazzi, ritrae una bambina in atteggiamenti intimi con uno di loro, fu registrato a fine giugno. A metà dei due mesi in cui si è concentrato l’orrore. Alla fine le indagini hanno appurato che esistono almeno 5 video, tutti con le violenze di gruppo, circolati tra gli adolescenti in questione e nella città di Caivano. Per questo motivo c’è anche il reato di revenge porn tra i capi di imputazione formulati nei confronti di uno dei maggiorenni indagati: secondo quanto ricostruito dai Carabinieri, il 19enne avrebbe minacciato una delle due vittime di inoltrare i video degli abusi sessuali al fratello di lei.
Ecco perché “serve il carcere” – Le parole del gip che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare, del resto, sono inequivocabili. E descrivono alla perfezione modi e caratteristiche psicologiche dell’azione degli stupratori. Testuale: sono fatti “gravi e reiterati”, commessi con “brutale approfittamento” di vittime “deboli e in tenera età” e “con modalità subdole ai limiti della crudeltà”. Secondo il giudice del tribunale per i minorenni di Napoli, Umberto Lucarelli, i nove indagati sono “privi di scrupoli” e dalle personalità “assolutamente inquietanti”, tanto da esser “convinti di poter soggiogare ancora per chissà quanto tempo” le vittime, “certi che il senso di ‘vergogna’ loro inculcato, attraverso la minaccia di diffondere i video delle violenze o di ‘dirlo al padre’ avrebbe assicurato loro l’impunità”. Nel provvedimento, inoltre, il giudice ha sottolineato “la totale mancanza di pietà, la mortificazione imposta alla vittima” da parte di uno dei ragazzi, quando ha trasmesso in diretta, attraverso una videochiamata, uno dei rapporti sessuali subiti da una delle cuginette, mentre gli spettatori ridevano”. Alcuni dei sette ragazzi minorenni (uno da poco maggiorenne ma minore all’epoca dei fatti) hanno dei precedenti e uno anche una richiesta di rinvio a giudizio per lesioni aggravate. Le famiglie di quattro dei sette ragazzi, inoltre, “sono gravate da precedenti penali” per cui i “nuclei familiari non danno alcuna garanzia di vigilanza sui minori”. La misura del carcere emessa per sei dei sette indagati si basa sulla convinzione, da parte del gip, che in comunità quei ragazzi “rappresenterebbero fonte di pericolo per gli altri minori”.
Il ruolo delle famiglie delle vittime – Di certo, oltre ai numerosi casi di violenza sessuale descritti, nell’ordinanza c’è un altro aspetto che salta agli occhi: la paura da parte delle ragazzine della reazione dei genitori, oltre al timore di non essere credute. Per questo motivo, le due cugine avevano stretto un patto tra di loro, decidendo di tacere e subendo ripetute violenze, fino alla decisione di interrompere il silenzio, nel tentativo di mettere fine agli abusi. Dopo essere state ascoltate dagli inquirenti, è inoltre emerso che le due ragazzine erano spesso sole. Una delle due vittime “è sola, non ha alternative alla realtà vissuta e raccontata, non ha amici diversi da quelli di cui ha parlato, né una famiglia o una coppia genitoriale in grado di sostenerla e accompagnarla nella crescita”. Nel caso dell’altra vittima, inoltre, è stato evidenziato che “il punto critico che emerge è sempre una povertà nel contesto e nella famiglia. L’impossibilità di accedere a uno spazio comunicativo con l’altro non permette alla ragazzina di riferire gli eventi e di farsi aiutare”. Un fattore che emerge anche da un altro particolare che emerge dalla lettura dell’ordinanza. Dopo aver appreso degli abusi sessuali subiti dalla figlia, infatti, la madre di una delle due vittime avrebbe rimproverato la ragazzina, definendosi “assai delusa” da lei e sostenendo che “in qualche modo l’aveva voluto lei”. La ragazzina, a sua volta, ha spiegato agli inquirenti di non aver mai parlato liberamente di quanto le stava accadendo con i propri genitori, che si erano separati poco tempo prima. La piccola ha aggiunto che la “madre, allorquando era venuta a conoscenza di tali episodi, a seguito dei messaggi ricevuti da suo cugino su Instagram, aveva reagito rimproverandola, dicendosi assai delusa da lei e sostenendo che, in qualche modo, l’aveva voluto lei”.