Salvini precetta i lavoratori del Trasporto pubblico locale, loro replicano posticipando lo sciopero: braccio di ferro a distanza tra il ministro dei Trasporti e il sindacato Usb dopo che questa mattina il leader leghista ha deciso di ridurre da 24 a 4 le ore di astensione dal lavoro proclamate dal sindacato per venerdì 29 settembre.Non bastano 4 ore, non bastano ai lavoratori per rivendicare i propri diritti”, la replica dell’Usb, contenuta in una nota. Di qui, dunque, la decisione di posticipare lo sciopero al 9 ottobre 2023, mantenendolo sempre della durata di 24 ore. Così facendo, il sindacato vuole “permettere a tutti gli autoferrotranvieri di poter scendere in piazza e manifestare il loro dissenso”.

L’Usb ha risposto con toni molto duri alla decisione di precettare l’agitazione, parlando di “ennesima aggressione all’esercizio del diritto di sciopero”. Un’aggressione dovuta al “carattere politico” della protesta, che secondo il sindacato la renderebbe molto scomoda per il governo. Non ci si limita infatti a rivendicazioni di carattere generale, come “salari e condizioni di lavoro dignitosi e l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro”: come sottolinea l’Usb, lo sciopero mette direttamente in discussione le politiche del governo Meloni. Soprattutto, l’agitazione sottolinea la necessità di combattere l’attuale legge sulla regolamentazione degli scioperi nei servizi pubblici essenziali. “Questa assurda ordinanza”, continua la nota, “che svilisce tutta la storia ed il valore del diritto di sciopero, quale unico mezzo di rivendicazione dei Lavoratori, a maggior ragione per gli Autoferrotranvieri sopraffatti da anni di privatizzazioni selvagge, bassi livelli salariali e tutele ridotte al minimo che hanno polverizzato e martoriato la categoria”. L’Usb, insomma, “non è disposto a subire in silenzio questo ennesimo attacco ad un diritto costituzionale”.

Contro la precettazione si è poi espressa Alleanza Verdi e Sinistra, per bocca del senatore Tino Magni. “La libertà di sciopero è uno dei fondamenti della democrazia”: la precettazione costituisce dunque un atto “vergognoso e antidemocratico”, che impedisce l’espressione del dissenso dei lavoratori. “Lo sciopero”, aggiunge Magni, “è un diritto sancito dall’art. 40 della nostra carta e Salvini deve rispettare la nostra Costituzione”. A difendere il ministro ci ha invece pensato, tra gli altri, Nino Germanà, vicepresidente del Gruppo della Lega in Senato e segretario in commissione Ambiente. Il senatore leghista ha parlato di “solita polemica strumentale” ad opera di una “certa sinistra”, e ha difeso l’“intervento di buonsenso” di Salvini, mirato a trovare “il giusto equilibrio tra il diritto a manifestare e quello indiscutibile di viaggiare e muoversi”.

Non si tratta comunque della prima precettazione sul curriculum del ministro: già il 12 luglio scorso decise di dimezzare lo sciopero nazionale dei treni, portandolo a 12 ore, con un’iniziativa che fece infuriare i sindacati. Dopo un tentativo di mediazione tra Trenitalia-Italo e sindacati, andato a vuoto al Mit, il vicepremier disse: “Lasciare a piedi un milione di italiani, di pendolari un giovedì di luglio con temperature di 35 gradi era impensabile”. Al che, i sindacati risposero: “La precettazione è un’iniziativa vergognosa, sbagliata e illegittima”. La polemica si spostò anche a livello nazionale: “Questo Paese nega il diritto di scioperare”, accusò ad esempio il leader della Uil, Pierpaolo Bombardieri, spiegando che lo sciopero del 13 luglio non era stato proclamato all’improvviso, ma era noto dall’8 giugno, quando fu sospeso proprio su richiesta di Salvini a causa dell’allagamento in Emilia Romagna. Ma il leader del Carroccio tirò dritto: “Non abbiamo cancellato il diritto allo sciopero, lo abbiamo semplicemente ridotto a 12 ore per permettere alla gente di tornare a casa dopo il lavoro”. Del resto, anche il Tar, al quale si rivolse la Filt Cgil, dette di fatto ragione a Salvini e decise di non procedere a nessuna sospensione cautelare urgente dell’ordinanza con la quale il ministro aveva disposto la precettazione.

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