La notte ha portato nuovamente la paura tra le popolazioni dell’area Flegrea e di alcune zone della città di Napoli, svegliate di soprassalto da una scossa di magnitudo 4.2 che ha colpito la zona alle 3.35. L’evento fa parte di una più ampia sequenza sismica che, come ha spiegato all’Agi Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) e Accademico dei Lincei “non finisce oggi e quindi possiamo aspettarci ancora nuovi eventi e anche una crescita in termine di magnitudo”. La ragione dei terremoti è da ricercarsi nel bradisismo del vulcano dei Campi Flegrei il cui magma ad alcuni chilometri di profondità genera una spinta verso l’alto e il conseguente sollevamento in superficie.

Allo stato i piani di emergenza a tutti i livelli di governo sono in fase di aggiornamento. Lo scorso 13 settembre si è tenuto a Palazzo Chigi un vertice con sindaci di Napoli e dei Campi Flegrei e il ministro per la Protezione Civile, Nello Musumeci, dal quale sono emerse quattro linee di azione: un Piano di analisi della vulnerabilità del territorio, finanziato dalla Protezione civile nazionale; un Piano della comunicazione alla popolazione, che preveda anche il coinvolgimento degli alunni delle scuole primarie dei Comuni Flegrei; l’aggiornamento del Piano di emergenza e delle vie di fuga, anche con apposite esercitazioni periodiche; una verifica della rete infrastrutturale, al fine di finanziare lavori di manutenzione straordinaria.

Particolare attenzione è stata data sia a livello governativo che mediatico al rischio eruzione che, secondo alcuni ricercatori come Giuseppe Mastrolorenzo dell’Ingv, sarebbe tutt’altro che escludibile. A tal riguardo il Piano Nazionale della Protezione Civile prevede la mappatura del territorio interessato in due aree, una rossa e una gialla. Quanto alla zona rossa si tratta dell’area “per cui l’evacuazione preventiva è, in caso di ‘allarme’, l’unica misura di salvaguardia per la popolazione” come si legge nella documentazione della Protezione Civile stessa. È infatti esposta al pericolo di invasione di flussi piroclastici che, per le loro elevate temperature e velocità, rappresentano il fenomeno più pericoloso per le persone. Sono ricompresi in zona rossa i comuni di Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida e Quarto, per intero; parte dei Comuni di Giugliano in Campania, di Marano di Napoli e alcune municipalità del Comune di Napoli. Nell’area vivono circa 500mila abitanti.

La zona gialla è l’area, esterna alla zona rossa, che in caso di eruzione è esposta alla significativa ricaduta di ceneri vulcaniche. Per quest’area potrebbero essere necessari allontanamenti temporanei della popolazione che risiede in edifici resi vulnerabili o difficilmente accessibili dall’accumulo di ceneri. Nella zona gialla ricadono i Comuni di Villaricca, Calvizzano, Marano di Napoli, Mugnano di Napoli, Melito di Napoli e Casavatore e 24 quartieri del Comune di Napoli. Nell’area vivono oltre 800mila abitanti. Secondo il Piano nazionale, in caso di emrgenza, l’allontanamento della popolazione dalla zona rossa inizia con la dichiarazione della fase di “allarme”. Sono previste aree di attesa designate dai piani di protezione civile comunali, ovvero le aree da cui partiranno i cittadini che scelgono di allontanarsi con il trasporto assistito. Dalle aree di attesa, i cittadini saranno trasferiti nelle aree di incontro previste dalla pianificazione nazionale di protezione civile che, nella mappa, sono rappresentate in verde. Da qui raggiungeranno, in nave, treno o pullman, le Regioni o Province Autonome gemellate.

Non tutti però sono convinti che il piano, così com’è, possa reggere all’emergenza. Per il già citato Mastrolorenzo, come riportato dal Corriere del Mezzogiorno, “bisogna abbandonare l’approccio probabilistico del piano di evacuazione e adottare quello deterministico, in pratica dobbiamo metterci in condizione di elaborare un piano che preveda l’allontanamento della popolazione anche durante una fase eruttiva già iniziata. È questo infatti lo scenario più probabile, ed è già accaduto nel caso del Pinatubo nelle Filippine o del Merapi in Indonesia. Dobbiamo essere in grado di salvare la popolazione anche in caso di eruzione, attraverso vie di fuga radiali e non tangenziali, ma questo tipo di scenario non è contemplato dagli attuali piani”.

Va però sottolineato che allo stato la posizione ufficiale dell’Ingv appare molto prudente sul rischio eruttivo. Come ribadito nuovamente da Doglioni dopo l’ultimo sisma non vi sono “indicazioni che ci sia magma vicino alla superficie. Non sappiamo se dalla profondità della camera magmatica siano iniziati a risalire dei fusi magmatici. Sicuramente sono risaliti dei fluidi, come l’acqua della quale è imbevuta la crosta che viene riscaldata e quindi tende a salire verso la superficie. Il tutto determina una pressione verso l’alto, l’inarcamento del suolo e la sismicità.” A sua volta la Protezione civile già a giugno affermava che “Il Piano Nazionale di protezione civile per i Campi Flegrei è in costante aggiornamento” e ricordava come “nell’ottobre 2019, un’esercitazione – ExeFlegrei2019 – ha consentito di testare tutta la sequenza di procedure, dal monitoraggio scientifico all’attivazione del Sistema Nazionale di Protezione Civile, fino all’allontanamento di parte della popolazione dei comuni interessati”.

di Gianmarco Pondrano Altavilla

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