di Michele Tamburrelli*

La contrattazione collettiva nazionale nel nostro paese regola la stragrande maggioranza dei rapporti di lavoro subordinato, frutto di una tradizione pluriennale che ne ha consentito il forte radicamento. Intervenire con una norma sul salario minimo, sostengono alcuni, potrebbe turbare questo equilibrio e indurre i datori di lavoro a scegliere contratti meno favorevoli per i lavoratori, i cosiddetti “contratti pirata”.

La contrattazione collettiva nazionale è indubbiamente una caratteristica peculiare del nostro Paese che va preservata e valorizzata. Per questo, in un’eventuale stesura di legge sul salario minimo, sarà importante assegnare un ruolo regolatore e di ultima istanza alle parti sociali, sindacati e associazioni datoriali, che i contratti li sottoscrivono.

Il XXII rapporto annuale Inps ci dice che esistono 822 contratti collettivi registrati, e 99 di questi contratti firmati da Cgil, Cisl e Uil (in parte anche da altre organizzazioni sindacali) si applicano a circa il 95% dei lavoratori dipendenti. La contrattazione collettiva è quindi un fenomeno “concentrato”, ovvero un numero ridotto di contratti copre la stragrande maggioranza dei lavoratori dipendenti, mentre la proliferazione dei contratti cosiddetti “pirata” attecchisce solo tra quei datori di lavoro che puntano ad abbassare il più possibile il costo della manodopera.

Il rapporto poi ci ricorda che complessivamente la contrattazione collettiva copre il 98,7% dei lavoratori anche se singolare il fatto che 582 contratti minori interessano lo 0,4% dei lavoratori. Questo non significa che ci si debba dimenticare dei pochi (in valore relativo ma non assoluto) a cui non si applica la contrattazione collettiva e che non sarebbe opportuna una norma sulla efficacia erga omnes dei contratti rappresentativi, considerando che le parti sociali, con specifici protocolli di intesa sulla rappresentanza, hanno già disegnato le regole generali, sebbene manchi nei rapporti di lavoro privati la messa a terra, cioè la effettività della registrazione dei risultati della rappresentatività, già possibile nel pubblico impiego. Potremmo per esempio scoprire che non tutte le organizzazioni sindacali che firmano contratti collettivi applicati alla quasi totalità dei lavoratori di un settore hanno la rappresentatività (mix di iscritti e rappresentanze sindacali) che oggi sostengono di avere, mentre alcuni sindacati autonomi potrebbero abbandonare la strada di contratti collettivi “minori” e accettare la competizione democratica in quelli maggiormente applicati.

Perché è importante sostenere la buona contrattazione collettiva? Perché è la risposta di qualità che unita alla quantità del salario minimo potrebbe davvero dare una svolta alla condizione economica di molti lavoratori.

Come noto, il contratto collettivo disciplina, oltre alla parte economica, anche quella normativa e obbligatoria del rapporto di lavoro, un articolato complesso di situazioni, accadimenti e vissuti che coinvolgono le parti, lavoratore e datore di lavoro. La disciplina delle ferie, dei permessi, della malattia, degli infortuni, dei congedi, del preavviso, dell’assistenza sanitaria integrativa, della previdenza complementare, della remunerazione delle ore straordinarie e supplementari, della mensa, delle trasferte, delle indennità, della formazione, della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono solo alcuni degli aspetti contenuti in un contratto collettivo che riguardano un rapporto di lavoro. Non tutti i contratti collettivi valorizzano questi aspetti e quelli che vengono definiti “pirata” lo sono spesso in quanto applicano retribuzioni inferiori e non contengono questi elementi extra salariali che portano valore al rapporto di lavoro.

Si pensi alla previdenza integrativa o alla assistenza sanitaria. La prima riguarda il futuro pensionistico dei lavoratori e andrebbe valorizzata proprio tra i più giovani, che paradossalmente aderiscono in pochi. La seconda riguarda il presente di chi ha necessità di curarsi o vuole prevenire e intende rinforzare i servizi del sistema sanitario nazionale. Da soli questi due istituti hanno un valore intrinseco importante. Spesso gli stessi lavoratori a cui viene applicato il contratto collettivo non conoscono le opportunità che vengono riservate loro e sarebbe bene che le parti sociali, sindacati e associazione delle imprese si prodigassero per far conoscere meglio e di più gli strumenti che loro stessi contrattualizzano.

Favorire la contrattazione collettiva significa prendere atto della necessità di un sostegno salariale quando le parti non riescono a dare un livello di dignità alla retribuzione dei lavoratori, come nel contratto della vigilanza dove, per ammissione dei firmatari stessi, sarebbe necessario intervenire. E non basta affermare che in assenza di condizioni adeguate i contratti non vanno sottoscritti, perché nel frattempo l’inflazione erode pesantemente il potere di acquisto dei lavoratori. Il contratto della vigilanza è stato rinnovato a maggio 2023 dopo quasi otto anni di vacanza contrattuale: la presenza di un salario minimo di legge avrebbe potuto convincere le organizzazioni sindacali a tenere ancora duro, o avrebbe spinto le parti a raggiungere un accordo in tempi più brevi? E come la mettiamo con l’inflazione? Intanto, per esempio, i contratti del terziario che riguardano più di tre milioni di lavoratori e circa un terzo dei lavoratori dipendenti privati sono ormai scaduti da due anni…

* Laureato in diritto del lavoro e relazioni industriale presso la facoltà di Scienze Politiche di Milano, mi sono occupato della materia fin dai miei primi esordi nel sindacato, insegnando nei corsi ai rappresentanti sindacali, trattando i problemi vertenziali e di tutela dei lavoratori, relazionandomi con aziende del settore terziario, turismo e servizi. Appassionato anche della materia della formazione ho diretto per diversi anni un ente di formazione

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