Nel giugno del 2021 Flavio Briatore disse in un’intervista di sentirsi come il “mugnaio di Bertolt Brecht”, che aveva finalmente trovato il suo “giudice a Berlino”. Una metafora letteraria che esemplifica il ruolo di vittima della giustizia. Dopo undici anni di processi, la Cassazione aveva spazzato via le due condanne per una maxi-evasione fiscale legata allo yacht Force Blue, che nel frattempo era andato però all’asta prima della sentenza definitiva. Nella stessa intervista, invadendo un campo per lui inconsueto (la politica giudiziaria), il patron del Billionaire arrivava a chiedere una grande riforma della giustizia.
Sono passati oltre due anni e una riforma della giustizia, nel frattempo, è arrivata: quella che porta la firma dell’ex ministro Marta Cartabia e del governo dei migliori. Per ironia della sorte, è anche grazie a quella legge che Briatore ha potuto scansare gli strascichi giudiziari di quella vicenda: la Procura di Genova ha archiviato l’ultima accusa rimasta nei suoi confronti, la corruzione di un dirigente dell’Agenzia delle Entrate, legata proprio a un’interpretazione normativa favorevole che potesse salvarlo dal processo Force Blue. Per i pm, ai sensi della norma Cartabia, non sussiste la “ragionevole previsione di condanna”, dunque Briatore va archiviato.
Lo stesso trattamento non è stato riservato agli altri personaggi (decisamente meno noti) rimasti invischiati in questa storia, accusati di aver ordito un depistaggio a favore di Briatore: l’ex direttore provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Genova Walter Pardini; le sue sottoposte Elena Costa e Claudia Sergi; l’ex consulente fiscale di Briatore Andrea Parolini. Nei loro confronti i pm Walter Cotugno e Patrizia Petruzziello hanno richiesto il rinvio a giudizio per il reato di depistaggio, ipotizzando, a questo punto in modo piuttosto paradossale, che i quattro abbiano tentato di far deragliare un procedimento giudiziario all’insaputa del beneficiario finale.
Il Force Blue – Per orientarsi in questa vicenda complicatissima occorre partire dal fatto scatenante. Nel maggio del 2010 la Guardia di finanza sequestra lo yacht dell’imprenditore, ormeggiato a La Spezia. Gli contesta sostanzialmente di aver usato un escamotage – l’intestazione fittizia a una società di chartering basata in paradisi fiscali, la Autumn Sailing – per mascherare la reale proprietà della barca, risparmiando così oltre tre milioni di euro di Iva sul carburante. Non solo. Emerge che Briatore “in Italia risulta nullatenente”, e che, “come risulta dalle indagini nel procedimento principale, ha intestato ogni suo avere a un trust di diritto estero, controllato mediante diversi livelli di interposizione”. Da questa vicenda nasce un lunghissimo procedimento giudiziario.
Briatore viene condannato in primo e secondo grado. La Cassazione annulla una prima volta la sentenza. La Corte d’appello di Genova, invece, riconferma la condanna, e con i reati ormai prescritti avvia la vendita all’asta dello yacht, motivando la decisione con i danni economici che sta sopportando lo Stato. Il natante viene venduto a poco più di sei milioni di euro (pagando a un’agenzia specializzata un’intermediazione da circa 700mila euro), ma la Cassazione annulla una seconda volta la condanna. L’assoluzione diventa definitiva dopo un terzo pronunciamento in appello e a Briatore, anzi alla Autumn Sailing, vengono restituiti gli oltre sei milioni di euro ricavati dall’asta. L’imprenditore sostiene che non bastino, perché il valore di mercato della barca riconosciuto dallo stesso perito del tribunale era di 19 milioni di euro, ma finora i tribunali gli hanno dato torto (l’ultimo pronunciamento della Cassazione è del 2023). Se vuole ottenere un risarcimento, Briatore dovrà percorrere la strada di un’ulteriore causa civile.
Il funzionario corrotto – C’è un momento di questa vicenda – fra i giudizi di primo e secondo grado – in cui l’affaire Force Blue incrocia un’altra inchiesta giudiziaria. La Guardia di finanza sta indagando su un giro di corruzione all’Agenzia delle Entrate di Genova. Il direttore, Walter Pardini, viene sorpreso in un ristorante mentre intasca una bustarella con 7.500 euro in contanti da una ditta di vigilanza campana. Da questo filone di indagine emerge che Pardini ha condotto in prima persona una trattativa che coinvolge la posizione di Briatore. L’accordo prevede che Briatore versi al fisco oltre tre milioni di euro, il corrispettivo dell’Iva che non sarebbe stata pagata. Al contempo, l’Agenzia delle Entrate dovrebbe emettere un parere che getti dubbi sull’interpretazione della norma penale contestata nel processo: un parere insomma contraddittorio rispetto alle posizioni della stessa Agenzia delle Entrate, che si era costituita come parte civile.
I lodge in Kenya e la “proposta indecente” – Pardini è un funzionario pubblico particolare. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, ha comprato dei lodge in Kenya e vede in Briatore, che a Malindi aveva aperto un Billionaire, un’opportunità di “convogliamento e procacciamento di clienti” vip. Per questo chiede al consulente fiscale che si sta occupando della transazione con il fisco, Andrea Parolini, di poter entrare in contatto diretto con Briatore. La richiesta, sottolinea il giudice per le indagini preliminari Ferdinando Baldini, “era palesemente al di fuori dei normali rapporti e da considerarsi quantomeno pericolosa”. Pardini prende un foglietto, scarabocchia sopra il suo nome e il numero, e, mentre è intercettato, dice a Parolini: “Quindi adesso poi, se vuole fare qualche proposta oscena, la fa direttamente sul cellulare…”. Il “tono” apparentemente “scherzoso”, secondo i giudici, non cambia il fatto che la proposta sia seria.
Sentito dalla Procura, Parolini ha raccontato di aver riportato quanto accaduto a Briatore, nello studio di uno dei suoi avvocati: “Dissi che Pardini voleva mettersi in contatto con lui in riferimento a interessi in Kenya. Tengo però a precisare che ho anche evidenziato allo stesso Briatore in quella sede l’assoluta inopportunità di qualunque contatto e che, visto l’atteggiamento tenuto, che da qualunque contatto con l’agenzia sarebbero derivati solo “casini”. Briatore mi ascoltò e non commentò”. Quanto alle richieste di Pardini, Parolini riferisce di essere stato preso in contropiede: “Non evidenziai a Pardini l’inopportunità di quella richiesta, un po’ per stupore e poi perché non ho ritenuto opportuno entrare in contrasto con il direttore dell’Agenzia delle Entrate che si stava occupando della vicenda che seguivo”.
“Io sono uno scienziato di queste cose” – Pardini sembra avere altri obiettivi in testa. Vorrebbe favorire E.M. (non indagata), collega e sottoposta esperta di Iva, a cui è legato da un rapporto personale: “Questo qua (riferendosi a Briatore, ndr) è uno che ti potrebbe dare un’opportunità enorme… via da questo posto di merda in cui sei (l’Agenzia delle Entrate, ndr)… perché sei una ragazza straordinaria, pera dare ovviamente giusto seguito alle cose, alla tua professionalità, alle tua capacità, è un rapporto molto importante… però te non mi aiuti, io cerco di coinvolgerti perché mi fa piacere… questo qua mi ha detto una cosa, quando è finita questa storia andiamo a cena io e lei e le spiego (…) Se ti si prospetta, ma perché no anche attraverso la mia modesta persona, la possibilità di vivere leggermente anche con qualche tono sopra le righe… non è giusto? Non sei mica più una bambina neanche te, cosa aspetti? (…) Francamente non capisco che hai timore di perdere…”.
La funzionaria palesa un certo “imbarazzo” di fronte alla proposta del capo: “Al limite cosa penso di rischiare, che è una cosa diversa”. Lui ostenta sicurezza: “Bisogna avere classe in queste cose, lo capisco quello che dici, io ne so molto, di queste cose sono uno scienziato, guarda”. Pardini alla fine verrà condannato corruzione a sei anni in primo grado, per la vicenda in cui viene sorpreso a intascare una bustarella. In secondo grado la condanna è scesa a due anni e dieci mesi grazie alla possibilità di patteggiare la pena anche in appello.
Le difese: vicenda paradossale – L’udienza per la vicenda del presunto depistaggio è stata fissata per il prossimo 28 ottobre. I difensori sono pronti a dare battaglia e a sollevare i tanti dubbi che affiorano dalla vicenda, a cominciare dal primo e più evidente: Briatore, il beneficiario della presunta corruzione (e del depistaggio giudiziario) è stato archiviato, mentre rimangono indagate le altre figure. Non solo. Il fascicolo, fanno notare i legali, è rimasto fermo sostanzialmente per quattro anni dopo la chiusura delle indagini. Nel frattempo è venuta meno il caposaldo su cui si basava il procedimento principale: la presunta evasione fiscale sul Force Blue. In altre parole, rimarrebbe in piedi l’ipotesi che il gruppo di indagati abbiamo “depistato” le indagini verso un esito che ha poi trovato effettivamente conferma dalla Corte di Cassazione. La difesa di Parolini, che ha sempre negato ogni addebito, ha anche fatto notare un paradosso: se fosse stata accettata la conciliazione fiscale, lo Stato avrebbe incassato oltre tre milioni di euro da Briatore. Invece, oltre a non aver incamerato questi soldi, gliene ha restituiti più di sei.