Cultura

“Pinocchio non deve morire”: il finale cambiato e il manoscritto distrutto dal fratello di Collodi. I retroscena di un capolavoro che compie 140 anni

di Marco Ferri

Prima dell’avvento dei computer, e ancor prima delle macchine per scrivere, prima di essere pubblicato a stampa, ogni libro era stato un manoscritto. Quel che sembra un’acquisita ovvietà, è tuttavia un particolare di fondamentale importanza da tener presente nel ricostruire i vari passaggi di un testo che dalla mente dell’autore “transita” fino alle pagine del libro stampato. Anche Pinocchio – il celebre romanzo pubblicato a puntate tra il 1881 e il 1882, e poi in forma di volume nel 1883 da Carlo Lorenzini, in arte Collodi – non sfugge alla regola e, anzi, è come se ne fosse rimasto “vittima”.

La stesura manoscritta di Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino fu infatti realizzata su 23 capitoli e all’inizio prevedeva un finale diverso, cioè alla fine fine il burattino di legno muore impiccato. L’epilogo della “bambinata” – così era ritenuta l’opera letteraria – non piacque alla platea dei lettori e l’editore convinse Lorenzini a rimettere le mani nel testo fino a giungere al finale “positivo” che tutti conosciamo. E qui iniziano i misteri: chi volesse ammirare il manoscritto originale di Pinocchio si troverebbe davanti una spiacevole sorpresa, poiché dei 23 capitoli del romanzo, oggi ne restano solo gli ultimi due, conservati alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze dove si è appena inaugurata una mostra per celebrare, appunto, i 140 anni dall’uscita del romanzo in forma di volume intero.

A questo punto la domanda è più che lecita: e gli altri 21 capitoli che fine hanno fatto? “Innervosito dal fatto che Carlo avesse pubblicato queste ‘bambinate’ – dice Maria Letizia Sebastiani, già direttrice della Biblioteca Marciana di Venezia e di quella Nazionale Centrale di Firenze, nonché conoscitrice e studiosa di Pinocchio – al momento della sua morte, il fratello più grande, Paolo, distrusse tutto ciò che riguardava il romanzo, prima di tutto perché non gli piaceva e poi perché preferiva che Carlo venisse ricordato per cose molto più serie; ciò che si è salvato ed è presente oggi alla Nazionale fiorentina lo dobbiamo al fratello più piccolo, Ippolito“. La biblioteca che ha sede in riva all’Arno, ricorda, conserva anche un importante fondo, le Carte collodiane, in parte studiate da Maria Jole Minicucci e in parte da altri studiosi, Sebastiani compresa. “Ma purtroppo non v’è traccia di altri capitoli manoscritti del romanzo – risponde l’ex direttrice – Ciò che ci resta di quella prima versione di Pinocchio è quel che è stato pubblicato su Il giornale dei bambini, dove alla fine Pinocchio muore. Come si sa, poi l’editore chiede a Lorenzini di cambiare il finale e tutto ciò è ben testimoniate nelle Carte collodiane“. Paolo Lorenzini, continua Sebastiani, non sopportava questo abbassamento di tono dell’opera letteraria del fratello. “Alla morte di Carlo, quindi, i primi 21 capitoli manoscritti furono distrutti – racconta la professoressa Sebastiani – col chiaro intento di evitare che il nome del fratello rimanesse legato a questo lavoro che considerava una stupidaggine. Possiamo quindi affermare che all’epoca Pinocchio non era considerato un capolavoro, bensì una roba per bambini e l’intervento di ‘pulizia’ del fratello successivo alla morte del fratello Carlo finisce con l’ottenere l’effetto contrario perché ormai la corsa al successo del romanzo non si sarebbe più arrestata”.

A conti fatti, quindi, il lavoro di letteratura italiano più tradotto al mondo (circa 250 diverse versioni), ha rischiato grosso e solo la lungimiranza di un editore ha salvato il romanzo dall’oblio e noi dall’ignoranza. Dal punto di vista prettamente storico, a fatica si resiste di fronte alla seduzione di quelle grandi pagine fittamente scritte, dove le avventure di un burattino “inventato”, da quasi un secolo e mezzo rispecchiano tutti i nostri (pochi) pregi e i (tanti) difetti.

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