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Ucraina, gli Usa sempre più stanchi della guerra. I repubblicani (divisi) minacciano di bloccare il bilancio. Ma a pesare di più su Kiev è la debolezza di Biden

Quattro americani su dieci pensano che gli Stati Uniti stiano facendo troppo per aiutare l’Ucraina. Nelle ore in cui Volodymyr Zelensky rendeva visita a Casa Bianca e Congresso alla ricerca di soldi e armi, un sondaggio ABC/Washington Post dipingeva un quadro non troppo favorevole ai suoi piani. Il 41 per cento degli americani ritiene infatti che l’amministrazione Biden si sia spinta troppo in là negli aiuti a Kiev (era il 33 per cento nel febbraio 2023 e il 14 per cento nell’aprile 2022). La cosa non riguarda soltanto i repubblicani, tradizionalmente più tiepidi nei confronti dell’assistenza massiccia alla guerra. Rispetto al febbraio 2023, i democratici che pensano sia ora di dire basta sono l’8 per cento in più. L’opinione pubblica americana mostra quindi segni ormai evidenti di stanchezza nei confronti della guerra. È un fatto probabilmente inevitabile, dopo mesi di scontri e senza una soluzione diplomatica in vista. Ma sono segni che nessuno, a Washington, può ormai trascurare.

Il fronte repubblicano – C’è un dato importante, che non va nel senso auspicato da Zelensky nella sua nuova richiesta di assistenza agli Stati Uniti – “senza il vostro aiuto, perderemo la guerra”, ha detto. In campo sia democratico sia repubblicano, la guerra in Ucraina si intreccia infatti a una serie di questioni interne. Spesso, a una serie di debolezze interne. Cominciamo dai repubblicani. Non è un mistero che settori del partito, in particolare la destra, non sia mai stata entusiasta all’idea di inviare armi a Kiev. La cosa dipendeva dall’avversione ad allargare ulteriormente il debito – sinora il Congresso ha approvato circa 113 miliardi di dollari in assistenza all’Ucraina – ma anche dalla volontà di mettere politicamente in difficoltà Biden, dipingendo le sue politiche come costose e fallimentari (è stato proprio Donald Trump, del resto, a sostenere di essere in grado “di mettere fine alle guerra in 24 ore”, nel caso fosse rieletto presidente). Questa attitudine, negli ultimi mesi e settimane, si è approfondita.

Marjorie Taylor Greene, deputata della Georgia e “pasionaria” trumpiana, ha accolto Zelensky nella capitale Usa postando un’immagine di Lord Farqaad, dal film di animazione Shrek, e queste parole: “I signori della guerra di Washington mentre parlano di Ucraina al popolo americano”. “Non ci sono soldi per l’Ucraina, ok? Non è un buon momento per chiederci ancora soldi”, ha intimato un altro conservatore, Byron Donalds. Secondo Scott Perry, generale in pensione e esponente della destra del partito in Pennsylvania, “la nostra gente non riesce a pagare le bollette del gas e dell’elettricità e a comprarsi da mangiare. Dobbiamo pensare a loro prima di mandare assegni in bianco ad altri paesi”. E alla fine 23 legislatori repubblicani – tra cui senatori influenti come JD Vance, Rand Paul e Mike Lee – hanno firmato una lettera in cui dicono che non voteranno altri aiuti all’Ucraina, a meno che non ci siano risposte chiare su alcune questioni dirimenti. Che fine hanno fatto i soldi finora stanziati? Come sta andando davvero la guerra? C’è una strategia per farla finire?

In tutto questo, come spesso accade, lo speaker repubblicano della Camera Kevin McCarthy ha cercato di assumere una posizione di compromesso. McCarthy sa che c’è una parte importante del suo partito, soprattutto al Senato, che resta inflessibile nella volontà di sostenere l’Ucraina. “Tengo all’Ucraina più del presidente Biden”, ha per esempio detto il leader del Senato, Mitch McConnell. Ma McCarthy sa anche che un’altra parte, la destra del partito che potrebbe sfiduciarlo come speaker, non ne vuole sapere di altre spese. E quindi McCarthy si barcamena come può. Dice di capire perfettamente che quella della Russia “è un’invasione ed è sbagliata”. Al tempo stesso, chiede “trasparenza” sui soldi già inviati a Kiev e chiede di sapere quali sono i piani futuri dell’amministrazione. McCarthy si è rifiutato di concedere a Zelensky l’aula della Camera per una seduta congiunta. E sta ora pensando di derubricare ogni nuovo stanziamento di fondi all’Ucraina dalla misura di rifinanziamento delle attività del Pentagono.

Soldi per il governo federale e lo spettro dello shutdown – Il fatto è che l’Ucraina è finita nel mezzo dell’ennesima battaglia tra i repubblicani. Il partito è diviso sul rifinanziamento del governo federale, con una parte consistente della destra che chiede che nella nuova legge di bilancio ci siano tagli consistenti alla spesa sociale e un inasprimento dei controlli alla frontiera meridionale. Senza queste misure, minacciano, si va allo shutdown, alla parziale chiusura delle attività del governo federale. È una strategia che ai settori più centristi del partito appare suicida e che, a loro giudizio, potrebbe costare i consensi dell’opinione pubblica più moderata alle prossime elezioni. All’orizzonte, come sempre, si staglia l’ombra di Donald Trump, appesantito da quattro diversi procedimenti giudiziari ma che non perde occasione per alimentare divisioni e veleni. “I repubblicani del Congresso possono e devono definanziare qualsiasi cosa decisa dal governo del corrotto Joe Biden”, ha detto Trump, chiedendo quindi ai fedelissimi di scegliere tranquillamente la strada dello shutdown. Insomma, il partito repubblicano è un partito ormai balcanizzato, spaccato, in perenne oscillazione tra diversi interessi e strategie in vista delle prossime presidenziali. Per Zelensky, contare sui repubblicani per finanziare i suoi sforzi di guerra non pare, al momento, una scelta opportuna e vincente.

Le questioni all’interno del Partito democratico – C’è poi il capitolo relativo ai democratici. Biden sinora è andato avanti per la sua strada. Se i repubblicani hanno bloccato al Congresso la sua richiesta di altri 24 miliardi in aiuti all’Ucraina, lui ha usato tre giorni fa i suoi poteri presidenziali per inviare a Kiev 325 milioni di dollari in assistenza militare tampone. Tra poco dovrebbero arrivare alle forze ucraine anche i sistemi missilistici a lungo raggio, gli Atacms, che il governo di Zelensky chiedeva da tempo, che l’amministrazione Usa finora aveva negato, temendo un allargamento del conflitto – ma che ora appunto si è convinta ad inviare, ritenendoli essenziali nella fase della controffensiva. Biden va quindi avanti, contando sulle divisioni dei repubblicani e sul fatto che i democratici si mantengono sostanzialmente compatti nella scelta di finanziare Kiev. La proposta di tagliare gli aiuti, ha detto il leader democratico del Senato Chuck Schumer, “è un insulto all’Ucraina e un regalo a Vladimir Putin”.

I dubbi tra i dem – Come succede per i repubblicani, anche per i democratici le sorti dell’Ucraina si intrecciano però a questioni interne. Sicuramente il tema della guerra non sarà al centro della campagna elettorale 2024, come avverrà invece per l’economia, il lavoro, l’immigrazione. Ma gli ultimi sondaggi preoccupano i democratici. Non c’è solo la stanchezza dell’opinione pubblica dopo mesi di guerra. Sempre ABC/Washington Post mostrano che il 44 per cento degli americani pensa di stare economicamente peggio oggi rispetto a quattro anni fa. Tre americani su quattro ritengono che Biden sia troppo anziano per ricandidarsi. E il 56 per cento disapprova i risultati della sua presidenza. Non è quindi solo la politica di Biden sull’Ucraina a essere riconsiderata. La sua politica sull’Ucraina è soggetta a dubbi e critiche nel momento in cui il presidente conosce una più generale messa in discussione del suo operato.

Nonostante le resistenze tenaci della leadership democratica a Washington, il dato è ormai, sempre più, sotto gli occhi di tutti. Una consistente maggioranza tra gli stessi democratici non vuole Biden come prossimo candidato alla presidenza. La cosa emerge da una serie di pezzi dei maggiori media liberal: “l’ottimismo dei leader democratici su Biden 2024 si scontra con le preoccupazioni degli elettori”, scriveva qualche giorno fa il New York Times. La cosa emerge dalle dichiarazioni di alcuni democratici di spicco: “Gli elettori non lo vogliono, è ormai chiaro dai sondaggi”, spiega James Carville, da anni uno tra i consulenti elettorali di spicco tra i progressisti. E la cosa emerge proprio da alcuni tra gli ultimi rilevamenti, che mostrano Biden sconfitto in un confronto diretto con Trump. Il repubblicano avrebbe, sempre secondo ABC/Washington Post, il 51 per cento dei consensi tra gli elettori delle prossime presidenziali, contro il 42 per cento di Biden.

Non sono quindi solo le divisioni tra i repubblicani a rendere più incerta la politica americana verso l’Ucraina. È anche un presidente stanco, debole, discusso, privo dell’appoggio dell’opinione pubblica, percepito come inadeguato dai suoi stessi elettori, a rivelarsi un pessimo alleato di Kiev. Questo spiega i tanti dubbi, le molte incognite con cui Volodymyr Zelensky ha lasciato Washington. Se nell’immediato le cose non sono destinate a cambiare, diverse ombre si allungano sul futuro, incondizionato appoggio americano alla guerra contro Putin.