Non è sempre necessario cancellare anche il passato più “doloroso” e “complesso” nella vita di un bambino adottato. Se di quel passato fanno parte anche componenti della famiglia di origine “che hanno rivestito un ruolo positivo nel suo processo di crescita”. La Corte Costituzionale con la sentenza n° 183, redatta dalla giudice Emanuela Navarretta, inciderà profondamente sull’istituto dell’adozione piena in Italia: una norma che ha sempre comportato la definitiva interruzione dei rapporti giuridici di fatto con la famiglia di origine. È stato stabilito che questa norma non impedisce al giudice di prevedere, “nel preminente interesse del minore”, che vengano mantenute talune relazioni socio-affettive con componenti della famiglia d’origine. Un bambino può essere adottato da un’altra famiglia, ma allo stesso tempo può mantenere un legame con le proprie radici: nonni, fratelli e sorelle, zii o anche solo alcuni di questi. Una decisione che comporta anche una rivoluzione nel Diritto di famiglia.
A sottoporre la questione di legittimità è stata la Cassazione, dopo che il procuratore generale di Milano aveva impugnato la decisione della Corte d’appello di Milano con la quale (8 gennaio 2021) i magistrati hanno constatato lo stato di abbandono di due fratellini, hanno dichiarato la loro adottabilità, stabilendo però che potessero conservare relazioni con la nonna materna e con alcuni familiari del ramo paterno. Il padre aveva ucciso la moglie e i due fratellini sono rimasti di fatto orfani perché il resto della famiglia è impossibilitato a farsene carico. La Corte aveva dato mandato ai servizi territoriali di stabilire tempi e modalità degli incontri, nel rispetto della riservatezza dei genitori adottivi e con la massima protezione dei bambini.
La motivazione – “La legge spezza i legami familiari con chi ha determinato l’abbandono e assicura al minore una nuova famiglia, erigendo – nella sua impostazione originaria – un muro divisorio tra i due nuclei familiari, tale da avvolgere nella segretezza la genesi adottiva della filiazione” scrivono i giudici nella motivazioni ma allo stesso tempo a “fronte di tale originario quadro normativo, l’evoluzione sociale e il dato dell’esperienza maturata con l’applicazione della disciplina, unitamente alle sollecitazioni provenienti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, oltre che da questa Corte e dal diritto vivente, hanno indotto il legislatore a rivedere, negli anni, l’assunto in base al quale l’adozione, in quanto auspicata rinascita del minore, debba immancabilmente implicare una radicale cancellazione del passato”.
“La tutela dell’identità del minore si associa al riconoscimento dell’importanza che rivestono, da un lato, la consapevolezza delle proprie radici e, da un altro lato, la possibile continuità delle relazioni socio-affettive con figure che hanno rivestito un ruolo positivo nel suo processo di crescita” ragionano i giudici- Un esempio emblematico riguarda le relazioni tra fratelli e sorelle non adottati dalla stessa coppia. Potrebbe anche trattarsi di nonni, impossibilitati a farsi carico dell’assistenza di un bambino o una bambina, soprattutto in situazioni nelle quali l’adottato deve superare traumi particolarmente gravi. Come nel caso di questi fratellini. E quindi il giudice deve poter “accertare che la prosecuzione di significative, positive e consolidate relazioni socio-affettive con componenti della famiglia d’origine realizzi il migliore interesse del minore e, per converso, la loro interruzione sia tale da poter cagionare allo stesso un pregiudizio”.
La decisione – I giudici costituzionalisti hanno quindi ritenuto infondate le questioni di legittimità che erano state sollevate dalla Suprema corte sull’articolo di legge che regola l’adozione in Italia (art 27, terzo comma, della legge n. 184 del 1983) che stabilisce quando avviene un’adozione, l’adottato diventa legalmente e completamente parte della famiglia degli adottanti, assume il loro cognome e acquisisce lo stato di figlio legittimo della coppia che lo ha adottato. Si tratta di una norma che regola il cambiamento dello status giuridico dell’adottato, che passa dalla sua famiglia d’origine alla nuova famiglia adottiva, con tutti i diritti e i doveri che ne derivano. È stato stabilito che l’adozione piena non impedisce al giudice di preservare le relazioni socio-affettive con i membri della famiglia d’origine, “nel preminente interesse del minore”. Questo significa che, anche se l’adozione comporta la cessazione dei legami giuridico-formali di parentela, non è un impedimento assoluto per il mantenimento delle relazioni significative con la famiglia d’origine. Sono stati proprio i due fratellini, attraverso il loro tutore, a chiedere che nella loro nuova vita, con una nuova famiglia potessero restare coloro che nulla c’entravano con le loro sofferenze.
Le sentenze recenti – La Corte ricorda che “sempre nel solco di una incessante ricerca di soluzioni più aderenti alla complessità del reale, si è poi sviluppata, su iniziativa della giurisprudenza minorile, l’ipotesi di una adozione cosiddetta “aperta”: ovvero “l’esigenza di coniugare l’istituto dell’adozione piena, in presenza di un effettivo stato di abbandono del minore, con la necessità di preservare (e mantenere dunque aperte) alcune relazioni di tipo socio-affettivo con componenti della famiglia biologica, con i quali il minore abbia avuto positive relazioni personali”. E vengono citati verdetti recenti che hanno aperto la strada a questa nuova impostazione emessi dalla Corte d’appello di Bologna (2 febbraio 2023); dalla Corte d’appello di Milano (31 maggio 2022); Corte d’appello di Roma (3 gennaio 2022); Corte d’appello di Torino, (25 giugno 2019).