Prima il Coni, adesso il governo: tutti abbandonano i Giochi del Mediterraneo di Taranto. A due anni e mezzo dall’inaugurazione la macchina è completamente ferma, la barca fa acqua da tutte le parti e il Comitato organizzatore è rimasto zoppo. Tra veti incrociati e ripicche politiche, è ormai muro contro muro tra le istituzioni locali e quelle centrali, per un evento che la Puglia non può organizzare senza il governo, e il governo non può fare senza la Puglia.
I Giochi del Mediterraneo sono delle piccole Olimpiadi, di grande complessità organizzativa (25 Paesi in gara, altrettante discipline, oltre 3mila atleti) e modestissimo ritorno mediatico, che comunque avrebbero il merito di portare circa 280 milioni di euro di investimento pubblico in un territorio bisognoso come Taranto e dintorni. Fin qui, però, non ha funzionato quasi nulla. In estate il Coni di Giovanni Malagò è uscito dal Comitato organizzatore per provare a dare una scossa all’immobilismo. Sono passati due mesi, non è cambiato assolutamente nulla. Ora il copione si ripete: anche il ministro Andrea Abodi ha annunciato la fuoriuscita del dipartimento per lo Sport di Palazzo Chigi, evidenziando “le criticità riscontrate nella gestione e dello stallo che ne è conseguito”, dichiarandosi “disponibile, su nuovi presupposti, a consentire la celere ricostituzione del soggetto organizzatore per garantire il rispetto delle scadenze previste per la realizzazione dell’evento sportivo di cui trattasi”. Coni e governo puntano dichiaratamente ad azzerare il Comitato, dove al momento restano la città di Taranto (il sindaco Melucci è il presidente), la Regione e le altre istituzioni territoriali. Senza soldi, e con il cerino in mano.
Tutto nasce dalla decisione del governo Meloni di nominare a maggio 2023 commissario Massimo Ferrarese – imprenditore, ex presidente della Provincia di Brindisi, già numero uno di Confindustria Brindisi e della New Basket Brindisi – dopo che con gli esecutivi precedenti erano state avviate le attività per la mappatura e il finanziamento dei progetti, senza arrivare però all’approvazione del Dpcm con la lista delle opere e il riparto dei fondi. Un’imposizione mai digerita dalle autorità locali, che l’hanno visto come uno scippo dei Giochi pugliesi da parte di Roma. Di sicuro alla base del commissariamento c’è un ritardo importante (che nel frattempo non è migliorato). Probabilmente c’è anche qualche frizione politica, tra la Regione a trazione Pd (Emiliano) e il suo ex rivale e oggi ministro che ha la delega sulla coesione, Raffaele Fitto (non a caso il ministro Abodi ha specificato che la decisione di uscire dal Comitato è stata presa di concerto con lui). Sta di fatto però che quella che era già una situazione grave, oggi è diventata surreale.
Le infrastrutture più importanti, proprio quelle di Taranto, sono al palo, per divergenze sui progetti e per una questione di principio: il sindaco pretende i soldi promessi per far partire i lavori, il commissario vuole vedere i progetti prima di erogare i finanziamenti. In particolare, sullo stadio Iacovone la diatriba è se buttarlo giù e ricostruirlo da zero (in meno di due anni, un’impresa quasi impossibile) come vorrebbe il Comune, o limitarsi a un restyling. Problemi anche per il centro nautico nel Mar Piccolo e il palazzetto del nuoto (che sarà, o almeno dovrebbe essere – meglio usare il condizionale – la piscina olimpionica più importante del Meridione): per tutti siamo lontanissimi dalla posa della prima pietra. Poi, a un certo punto, bisognerà occuparsi della parte logistica, l’organizzazione proprio dell’evento sportivo, altri 50 milioni in mano però a un Comitato decapitato.
Lo stallo è talmente profondo che qualcuno comincia persino a dubitare che i Giochi si faranno mai a Taranto: nelle ultime settimane sono circolate come alternativa voci prima su Napoli, poi su Bari o Lecce, tutte ipotesi strampalate, nel senso che l’host city contract è stato firmato con la città di Taranto, e il governo o la Regione anche volendo non potrebbero semplicemente girarlo a un altro Comune, la palla tornerebbe in mano al Comitato internazionale. Vedremo se ora l’ennesimo strappo, stavolta del ministro Abodi, produrrà qualche risultato. Intanto il tempo passa e continua un braccio di ferro: non si sa chi vince, di sicuro perde la città di Taranto.