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48 anni fa il Massacro del Circeo: tre giovani della Roma bene torturarono e stuprarono due ragazze di periferia

Il delitto tra i più inquietanti della storia d'Italia, negli ultimi anni ha ispirato due film e un romanzo premiato allo Strega

di Alessandra De Vita

Il massacro del Circeo non è stato soltanto un crimine efferato ma anche lo specchio di una società, quella degli anni ’70, in cui più di oggi il divario tra le classi era meglio indicato dalla latitudine urbana in cui si era circoscritti. Ma il vero spartiacque non era antropologico né culturale ma soprattutto economico. In questa storia c’erano i figli della borghesia dei Parioli e le figlie degli operai di borgata e l’interazione tra loro ha generato un tragico impatto in cui ad avere la peggio, neanche a dirlo, sono state quest’ultime.

I protagonisti

I tre che hanno scritto una delle pagine più buie della nostra storia sono figli della Roma bene, che prendono il soprannome dall’elegante quartiere romano dei Parioli. Un’appartenenza sigillata dalla violenza come dichiarerà lo stesso Izzo anni dopo: “Eravamo guerrieri, quindi stupravamo, rapinavamo, rubavamo. Questo, come la nostra mentalità, aveva anche lo scopo di legarci tra noi, personaggi dell’ambiente pariolino”. Gianni Guido studia architettura ed è figlio di un alto dirigente della Bnl. Angelo Izzo, studente di medicina, è il figlio di Rocco, palazzinaro romano ben noto. A loro due, che le due ragazze avevano incontrato al bar del “fungo” dell’Eur, si unisce Andrea Ghira, ventiduenne, figlio dell’imprenditore edile e campione olimpico di pallanuoto Aldo Ghira. Dall’altra parte della barricata ci sono la 19enne Rosaria Lopez che fa la barista mentre Donatella Colasanti, minorenne, va ancora a scuola. Entrambe vivono con le loro famiglie nel quartiere popolare romano della Montagnola che prende il nome da quella lieve altura che collega l’Ardeatina alla Colombo. Unico terreno d’intersezione è il vicino quartiere Eur, dove le due amiche conoscono due dei tre ragazzi nel settembre 1975, pochi giorni prima del crimine. Restano colpite dai loro modi garbati, dagli abiti eleganti, che ne fanno due giovani uomini così fascinosamente distanti dal loro ambiente. Ciò che Donatella e Rosaria non possono neanche immaginare è che uno di loro, Angelo Izzo, ha già precedenti penali: due anni prima del massacro, ha compiuto insieme a Ghira e una rapina a mano armata per cui ha scontato venti mesi nel carcere di Rebibbia. Già nel 1974 aveva violentato due ragazzine insieme a due amici e perciò era stato condannato a due anni e mezzo di reclusione, mai scontati a seguito di sospensione condizionale della pena. Izzo e Guido invitano le ragazze a una festa a Lavinio, a casa di un amico comune, ma a Lavinio non arriveranno mai. La destinazione in realtà è un’altra.

Il massacro

Alle 18:20 del 29 settembre, Izzo e Guido, insieme a Rosaria e Donatella, arrivano a Villa Moresca, di proprietà della famiglia di Ghira, nel comune di San Felice Circeo in via della Vasca Moresca. Dopo qualche ora tentano un approccio sessuale con le ragazze che però non accettano. Tentano di convincerle offrendo loro dei soldi in cambio, un milione a testa, ma le due non cedono affatto ed è lì che la riunione degenera in un vortice di brutale violenza. Per più di un giorno e una notte le due ragazze vengono violentate, massacrate e insultate dai tre. Tra una sevizia e l’altra, Guido pensa bene di rientrare a casa a Roma in tempo la cena in famiglia, per poi tornare al Circeo e riunirsi ai suoi amici torturatori. Le ragazze vengono drogate ma non si addormentano. Rosaria viene trascinata nel bagno al piano superiore della villa “per cloroformizzarla dicono” (dalla deposizione della Colasanti) dove viene picchiata e infine annegata nella vasca da bagno. Quando smette di sentire i suoi pianti, Donatella realizza che la sua amica è stata ammazzata. Dopo, i tre tentarono di strangolare Donatella con una cintura, la colpiscono con tutta la forza possibile. In momento di distrazione lei tenta di raggiungere un telefono e cerca di chiedere aiuto, ma viene scoperta e picchiata con una spranga di ferro. A quel punto, capisce che l’unico modo per sopravvivere a quell’orrore è fingersi morta. I tre maniaci la rinchiudono insieme al cadavere di Rosaria nel bagagliaio di una FIAT 127 bianca per poi dirigersi verso Roma e sbarazzarsi dei corpi. Ridono e scherzano lungo il tragitto, la Colasanti li sente dire: “Shh, parliamo piano, dietro c’è gente che sta dormendo”. A un certo punto Ghira mette su la cassetta con la colonna sonora dell’Esorcista.

Il ritrovamento

La sera stessa del 29 settembre, Donatella viene ritrovata vicino casa di Guido, in via Pola, a Roma. Prima di disfarsi dei corpi, i tre decidono di andare a cenare in un ristorante lì vicino ma pare restino coinvolti in una rissa con un paio di giovani comunisti. I tre ragazzi, pur senza troppa consapevolezza politica, militano tutti in movimenti neofascisti. Donatella inizia a gridare e a battere colpi sul bagagliaio riuscendo infine a richiamare l’attenzione di un metronotte che dà l’allarme a una vettura dei Carabinieri. La chiamata arriva alle 22.50: “Centrale… c’è un gatto che miagola nel baule di una 127 in via Pola”. Donatella Colasanti ha svariate fratture e ferite su tutto il corpo e il naso rotto. Izzo e Guido vengono arrestati poche ore dopo, Ghira non viene trovato: al processo l’accusa dice che è stato avvisato e aiutato nella fuga dall’Italia. Sono due le immagini che consegnano alla storia quel momento: una è quella di Donatella Colasanti, devastata, coperta di sangue e lividi che sporge dal cofano dell’auto. La scatta Antonio Monteforte, un fotografo di “nera” che è perennemente sintonizzato sulle frequenze delle forze dell’ordine, com’è abitudine in quegli anni. L’altra è quella di Angelo Izzo nel momento dell’arresto a due passi da casa sua, nel quartiere Trieste: occhi sgranati, lo sguardo fiero e un ghigno di compiacimento sul viso per tutto il male che ha appena inferto.

Il “copione”

Non c’è stato un raptus a scatenare quelle ore di inaudita e atroce violenza, era tutto già scritto. Lo ha spiegato bene Donatella Colasanti durante il processo: “Quando siamo arrivate nella villa del Circeo, ci hanno fatte subito entrare in casa. Ci hanno puntato una pistola contro, sghignazzando: “Ecco la festa!”. Poi ci hanno chiuso in un bagno minuscolo, senz’aria. Ci hanno spogliate, tolto gli anelli, i documenti, tutto quello che avrebbe potuto renderci identificabili. Sapevano benissimo cosa stavano facendo. Era tutto preparato. I sacchi in cui ci avrebbero messe, da morte, ce li hanno mostrati subito. Izzo voleva essere protagonista, al centro dell’attenzione. Ripeteva in continuazione che lui era capace di uccidere mentre Ghira faceva il capo del gruppo, sosteneva di far parte della banda dei marsigliesi, di essere molto amico del loro boss, Jacques Berenguer. Anzi, diceva che era proprio per ordine dei marsigliesi che ci avevano catturate. Izzo poi diceva che ci avrebbe ammazzate. L’ora e il modo non erano stati decisi, ma dovevamo morire. “Da qui non uscirete vive” ripeteva con il suo sorrisetto malvagio. Recitava un copione”. Ma non è solo un copione: è il manifesto programmatico del gruppo di “drughi” pariolini che avevano scelto l’ultraviolenza come unico mezzo ribellione al modello alto-borghese a cui erano destinati da prima ancora di venire al mondo.

Epilogo

“Le due ragazze erano lì perché volevamo ucciderle non violentarle, nessuno lo ha mai capito”: uno dei mostri del Circeo, Angelo Izzo, non lascia margine di interpretazione sul massacro compiuto esattamente 48 anni fa in una villa sul promontorio del Circeo, in zona Punta Rossa. Non l’ha soltanto dichiarato ma anche sottoscritto nel diario-testamento “Io sono l’uomo nero – dal Circeo a Ferrazzano: la storia mai raccontata di Angelo Izzo e dei suoi crimini”, a cura di Ilaria Amenta. Il libro scritto dal carcere in cui sta pagando, dopo svariati tentativi di evasione, l’orrore inflitto a due famiglie e a distanza di anni con due condanne all’ergastolo. Sì, perché quando nel 2004 gli viene concessa la semilibertà dai giudici di Palermo, Izzo torna ad uccidere scegliendo come vittime Maria Carmela Linciano e Valentina Maiorano, all’epoca sotto protezione a Ferrazzano (in provincia di Campobasso) e rispettivamente moglie e figlia di Giovanni Maiorano, un pentito della Sacra corona unita, che Izzo ha conosciuto in carcere. E gli altri protagonisti di questa tristissima vicenda? Donatella Colasanti muore di cancro nel 2005. Gianni Guido disse di essersi pentito e vide la sua pena ridotta in appello di 30 anni. Fugge dal carcere di San Gimignano nel gennaio del 1980 ma viene arrestato due anni dopo a Buenos Aires. Nuovamente scappa dall’ospedale militare in cui è stato ricoverato per un’epatite ma viene catturato a Panama nel 1994 ed estradato in Italia. Nel 2008 venne affidato ai servizi sociali, un anno dopo ha estinto il suo debito con la giustizia grazie a una riduzione di otto anni per via dell’indulto. Vive a Roma dove ha iniziato a lavorare come traduttore di opere religiose. Ha anche collaborato alla gestione del patrimonio di famiglia. Di Ghira non si sa nulla per anni. Dopo la fuga, si rifugia in un kibbutz israeliano per poi arruolarsi, nel giugno 1976, nella Legione straniera spagnola con il nome di Massimo Testa de Andrés ma viene cacciato perché tossicodipendente. Muore a Melilla il 2 settembre 1994 dove viene trovato esanime con la siringa infilata nel braccio. Solo dieci anni dopo la famiglia ne ufficializza la morte.

Le influenze culturali

Il massacro del Circeo ha ispirato un libro che nel 2016 ha vinto il Premio Strega, una serie e tre film. Il primo, “I violenti di Roma bene” è del 1976, diretto a quattro mani da Sergio Grieco e Massimo Felisatti e racconta di una banda di giovani benestanti romani che commette violenze e rapine. Sempre nel ’76, è uscito “I ragazzi della Roma violenta”, diretto da Renato Savino. Più recente è il film “La scuola cattolica” di Stefano Mordini, ispirato all’omonimo libro di Edoardo Albinati. L’autore ha frequentato negli stessi anni dei mostri del Circeo, l’Istituto San Leone Magno, prestigiosa scuola cattolica a cui tutt’oggi sono destinati i figli dell’alta borghesia romana. Il massacro ha segnato una svolta anche sul piano della giustizia in Italia: in seguito a quel processo, concluso con una condanna di ergastolo, lo stupro è diventato un crimine contro la persona anziché contro la pubblica morale grazie alla testimonianza di Donatella Colasanti, difesa dall’avvocato Tina Lagostena-Bassi. Questo punto nodale ha ispirato la serie “Circeo”, diretta da Andrea Molaioli, che si concentra sui risvolti giudiziari di un processo seguitissimo che in quegli anni ha generato un’intensa riflessione nella società civile. Durante il processo, la difesa ha dichiarato: “Se le ragazze fossero rimaste accanto al focolare, dove era il loro posto, se non fossero uscite di notte, se non avessero accettato di andare a casa di quei ragazzi, non sarebbe accaduto nulla”, e non siamo purtroppo del tutto lontani da quel presupposto, come testimoniano alcune reazioni agli ultimi inquietanti episodi di violenza sessuale avvenuti a Palermo.

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