Società

Anche per lo spot Esselunga vale il motto ‘l’importante è che se ne parli’? Io non credo

Con la sociobiologia, lo zoologo E.O. Wilson analizzò la nostra specie come una qualunque specie sociale; da zoologo, mi piace analizzare la pubblicità da un punto di vista sociobiologico.

Da anni il trionfo del politicamente corretto ha fatto breccia nella pubblicità. Negli spot di Carosello i protagonisti erano tutti italiani e “popolari”. Gli spettatori dovevano riconoscersi nelle scenette. Da un po’, negli spot, sono comparsi i neri. E poi gli asiatici. E poi coppie miste, sia per il colore sia per l’orientamento sessuale. Il primo spot per omosessuali vedeva due maschietti che spingevano una carrozzina. Ci sono i bambini, i giovani e, sempre di più, gli anziani.

I carburanti non sono più pubblicizzati, un tempo mettevano un tigre nel motore. Gli alcolici rallegrano, mentre un tempo erano rappresentati come l’acqua di fuoco da dare agli indiani: il brandy dà la felicità. Sono moltissimi gli spot in cui c’è un genitore solo. Ed è evidente che l’altro manca perché i due sono separati. I ruoli non sono più rigidi: i maschi fanno cose un tempo tipiche delle donne, come sfamare i cuccioli, lavare i loro indumenti senza rovinarli, cucinare e altre amenità. Ci sono le pubblicità per persone sole che convivono con un animale da compagnia, di solito un cane o un gatto. I gatti sterilizzati sono trattati come nababbi da umani che forse si sentono in colpa per averli menomati sessualmente. Li amano tanto ma… zac!

Sono esilaranti le pubblicità dei farmaci che guariscono da ogni cosa, con la voce finale che, velocissima, ci informa che prenderli può portare ad effetti collaterali anche gravi.

Dato che la popolazione invecchia sono tantissimi gli spot dedicati agli anziani, affetti da problemi con la prostata, incontinenza, dentiere che ballano, per non parlare delle poltrone che si sollevano, o i montascale. Le pubblicità sono più dirette. Un tempo bastava la parola del purgante per andare di corpo. Ora ci sono spot in cui il testimonial esce felice dal cesso, dopo aver ripristinato la sua naturale regolarità, un modo magistrale per dire elegantemente che ha… cagato. Ci sono le pubblicità per chi se la fa sotto, a fare da contraltare.

Lo spot che fa tanto parlare, quello della bambina che porta una pesca al papà e che mente dicendo che gliela manda la mamma, va oltre tutto questo. Gli altri spot con un solo genitore prendono atto della separazione e mostrano genitore e prole (di solito un solo figlio o una sola figlia) sereni. Non si sente la mancanza dell’altro: il prodotto pubblicizzato li rende felici, come il brandy. Lo spot della pesca è strappacuore. La bimba soffre nel vedere che i genitori, evidentemente benestanti, sono separati. Li vorrebbe assieme. Vivono in belle case, hanno belle auto e sembrano persone gentili e colte. E tornate insieme, no? Una cosa che mi sconcerta, in questa epoca del politicamente corretto, è l’uso dei minori per promuovere prodotti. Ma è in voga da sempre. Ricordo un poster di un detergente per il water, con un bambino che esce felice dalla tazza: pulitissima, tanto che ce lo potete lavare dentro.

Gli spot dedicati ai maschi di solito avevano femmine procaci e ammiccanti. Mentre quelli dedicati alle femmine di solito avevano cuccioli, umani o di altri mammiferi. Ma anche questo sta cambiando. Dato che nei casi di separazione i figli vengono invariabilmente affidati alle madri, sono moltissimi i padri che sentono lancinante la separazione dai figli. In effetti, nello spot della pesca, si vede che il padre vorrebbe riconciliarsi. Si capisce da come guarda quella finestra. La madre non sappiamo. I due, evidentemente, non si sono “rifatti una vita”: lei non ha un uomo e lui non ha una donna. E dài, tornate insieme, vien da pensare. Magari in un prossimo spot i due si incontreranno al supermercato, davanti al banco della macelleria, e la mamma darà un pollo al papà, la figlia sorriderà e i due si prenderanno per mano, per poi prendere ognuno una mano di lei. E si avvieranno felici, nuovamente uniti… alla cassa. Ho anche lo slogan: il supermercato che unisce. Viene in mente il marchio bio che propagandava animali allevati nei lager.

Pare che il supermercato della pesca abbia finanziato la Lega. I leghisti magari ci andranno, ma i non leghisti no. E non ci andranno i separati che non amano chi li colpevolizza utilizzando i loro figli. Quella pubblicità sarà davvero proficua per l’azienda che l’ha commissionata? Dicono che non ha importanza se si parla bene o male di qualcuno, l’importante è che se ne parli.

Io non credo. La nostra reputazione è quello che gli altri dicono di noi. Si potrebbe non avere una reputazione (nessuno parla di noi), ma si potrebbe anche averne una buona oppure una cattiva. Siamo sicuri che sia indifferente se la reputazione è buona o cattiva? Se fosse indifferente le calunnie che mirano a distruggere la reputazione di qualcuno dovrebbero essere benvenute.

La mia pubblicità preferita, comunque, è quella dell’acqua che fa fare tanta plin plin: l’acqua che libera l’acqua. L’ho usata per anni, a lezione, per chiedere ai miei studenti: che strada fa l’acqua, nel nostro corpo, fino a diventare plin plin? E che significa che l’acqua libera l’acqua? Nessuno ha mai saputo rispondere. Morale: tendiamo a berci qualunque cosa ci venga propinata, anche se non la capiamo. Ma poi, che cosa pensano di trasmettere ai potenziali clienti? Venite nel nostro supermercato perché… già, perché? E’ un supermercato per persone tristi? Il mercato c’è. In Amarcord una spettatrice entusiasta esce dal cinema e dice: Mi sono divertita… ho pianto tanto.