I documentari del Festival di Internazionale ti spalancano sempre gli occhi. Ogni anno è così. Non abbiamo capito dove diamine li selezionino, ma vi assicuriamo che anche questa volta a Ferrara fino al 1 ottobre 2023 potrete scegliere tra una dozzina di proposte una più stupefacente dell’altra. Noi abbiamo scelto Praying for Armageddon della norvegese Tonje Hessen Schei. Sorta di inquieto e lugubre spaccato sull’affermarsi del revivalismo evangelico nella società statunitense e il suo posizionarsi fiero nei piani alti della politica americana ovvero la Casa Bianca nell’epoca Trump. Molti diranno: e si sapeva. Risposta: insomma, fino a un certo punto.
Diciamo che la versione “armageddon”, o “fine di mondo” come diceva il dottor Stranamore, in cui si fomenta, conquistando anime e inviando armi, il desiderio di guerra in Israele perché dopo la distruzione ritornerà Cristo, ecco questa versione del cosiddetto “sionismo cristiano” era almeno per chi scrive piuttosto ignota. Il documentario della Schei ha un’impostazione formale abbastanza tradizionale, con l’immediata acquisizione di un corpo fisico indagatore che è quello del giornalista indipendente Lee Fang. Il ragazzotto molto distinto, per nulla capzioso, insomma per nulla Michael Moore, si incunea tra deputati e senatori repubblicani che sostengono come fosse un abbecedario morale il libro della Rivelazione (o l’Apocalisse di Giovanni) e il suo scenario apocalittico con Stati Uniti e Israele a braccetto.
Prendi John Hagee, fondatore del CUFI, Christians united for Israel, una struttura da dieci milioni di membri che trasla i presupposti teologici del cristianesimo direttamente su quelli dell’ebraismo per una miscela letteralmente esplosiva: quasi quattro miliardi di aiuti militari allo stato di Israele. E per farlo non serve solo la penetrazione confidenziale tra casalinghe (abbienti) e classe medio bassa bianca. CUFI si infila anche tra afroamericani, asiatici e ispanici, nonché nelle fila dell’esercito statunitense, reclutando parallelamente ai canali istituzionali, reclute pronte ad occupare posti nelle fila militari.
Le immagini dei battezzi dei soldati alla maniera di Giovanni Battista nella vasca piena d’acqua della parte anteriore dei bulldozer è da antologia. Per non dire dei “pezzi grossi” direttamente coinvolti, praticamente tutta l’amministrazione Trump, tra cui Mike Pence e Mike Pompeo, e il sempiterno senatore texano Ted Cruz. Praying for Armageddon ha poi un paio di peculiarità politico-estetiche: si concentra sull’analisi (che poi per carità tutti possono forzare tendendo alla finzione) del fenomeno che si ha di fronte e non sul suo dileggio e/o contrapposizione con il “bene” laico o altro; nonché la capacità di mantenere per un’ora e mezza una sorta di atmosfera da brividi perché inneggiare all’apocalisse per poi rinascere, armandosi fino ai denti, rievocando pure i crociati, più che metterci religiosamente in pace ci fa una paura del diavolo.