La tassa sugli extra-margini delle banche trasformata in un’opzione, il tetto al prezzo dei voli per Sicilia e Sardegna diventato solo uno degli elementi di cui l’Antitrust può tener conto nel valutare il comportamento delle compagnie aeree, le licenze aggiuntive per i taxi limitate a una sola per ogni titolare. Varato in pieno agosto con intenzioni bellicose, tempo un mese e mezzo il decreto Asset (“Disposizioni urgenti a tutela degli utenti, in materia di attività economiche e finanziarie e investimenti strategici”) passato giovedì al Senato con la fiducia si è rivelato una débâcle su tutti i fronti: il governo ha dovuto fare marcia indietro sulle misure principali, accontentando le lobby interessate.
Prendiamo il prelievo sugli istituti, che nella versione iniziale approdata a sorpresa in cdm doveva ammontare al 40% del margine di interesse registrato nel 2022 se eccedente per almeno il 3% il valore dell’esercizio 2021 o (se maggiore) del margine registrato nel 2023 e superiore di almeno il 6% rispetto al 2022. “Tassiamo la differenza ingiusta tra interessi attivi e interessi passivi“, aveva rivendicato Giorgia Meloni, per “sostenere famiglie e imprese”. Il giorno dopo il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, incredibilmente assente alla conferenza stampa post cdm, aveva precisato che ci sarebbe stato un tetto pari allo 0,1% del totale dell’attivo. Poi le soglie oltre le quali far scattare il balzello sono state alzate al 5 e 10%. A metà settembre, dopo settimane di fronda, Forza Italia ha presentato emendamenti per modificare il tetto massimo portandolo allo 0,15% delle “attività ponderate per il rischio” – favorendo così Mediolanum – , escludere dal calcolo i titoli di Stato e rendere la tassa deducibile. Il punto di caduta si è trovato lo scorso fine settimana: l’imposta è diventata opzionale, chi non vuol pagarla potrà destinare a riserva non distribuibile un importo di due volte e mezza il suo valore. Gettito atteso: ovviamente non quantificabile. “Una grande operazione di politica industriale e bancaria”, stando a Giorgetti, che nell’iter nella norma dice di non vedere alcuna retromarcia.
Tragicomica la parabola di quella che era stata presentata come una stretta sugli algoritmi che stabiliscono i prezzi dei voli per le isole. “La fissazione dinamica delle tariffe da parte delle compagnie aeree, modulata in relazione al tempo della prenotazione, è vietata“, ammoniva il testo di inizio agosto, “se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni”. Cioè applicazione su rotte nazionali di collegamento con le isole in un periodo di picco di domanda e con l’esito di un prezzo finale “del 200 per cento superiore alla tariffa media del volo”. Una formulazione che è riuscita a far inorridire le associazioni dei consumatori, secondo cui avrebbe incentivato le aziende ad aumentare i prezzi medi, suscitando al tempo stesso le ire di Ryanair, arrivata a definire il decreto “ridicolo e illegale”, avviare ritorsioni sulle rotte e chiamare in causa l‘Enac chiedendo le dimissioni del presidente. Reazione del ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso? Dopo aver incontrato l’ad della compagnia irlandese, ricevuto i rilievi della Commissione (convinta che “la libera fissazione dei prezzi è di solito la miglior garanzia di prezzi accessibili”) e ammesso che il decreto poteva “essere migliorato”, ha riscritto ex novo l’articolo. Via il divieto, avanti l’Antitrust che dovrà vigilare su eventuali abusi di posizione dominante e nel farlo “può tener conto” del superamento della famigerata soglia del 200%. In effetti l’Autorità garante della concorrenza ha subito dopo aperto un’istruttoria proprio su Ryanair. “Nessun tetto ma lo stesso obiettivo”, la versione di Urso. Quale? “Sgominare il cosiddetto algoritmo”.
Infine i tassisti, la lobby più potente di tutte. Se i banchieri sono stati colti di sorpresa dal blitz agostano, messo in atto senza preavviso, i rappresentanti delle auto bianche sono stati ricevuti a Palazzo Chigi con tutti i crismi prima di ufficializzare la norma sulle licenze. L’idea originaria era di consentire ai Comuni di accordare altre licenze – da vendere, regalare, affittare – a chi ne ha già una in presenza di “grandi eventi o a flussi di presenze turistiche superiori alla media stagionale”. In modo da ridurre i disagi dei visitatori stranieri – e degli italiani – costretti a code chilometriche nelle stazioni. “Un cavallo di Troia per smantellare il servizio pubblico taxi”, il verdetto del sindacato, pronto allo sciopero. Agli ordini: testo cambiato prima ancora dell’ingresso in consiglio dei ministri. Le licenze aggiuntive sono così diventate “temporanee o stagionali”, non più di 12 mesi di durata.
Non bastava ancora: nel passaggio in Senato sono passati emendamenti di Forza Italia e Fratelli d’Italia che limitano a una la licenza aggiuntiva, chiudendo la strada alla possibilità di “pacchetti”, e solo in caso di flussi di presenze turistiche “eccezionali“. I soli Comuni capoluogo o sede di aeroporti potranno incrementare le licenze già rilasciate fino al 20% con un concorso straordinario: una mossa comunque insufficiente per colmare il divario tra le licenze in essere a Roma e Milano e quelle concesse nelle grandi capitali europee. Nella Capitale se ne contano 7.700, a Milano 4.85o, contro le 20mila di Parigi e le 15mila di Madrid. I tassisti comunque non ci stanno: paventano “un’apertura incontrollata a vantaggio di soggetti che agiscono al di fuori del perimetro d’impresa”. E sperano, comprensibilmente, nel passaggio alla Camera.