di Luca De Franco
Mi sembra di percepire che tutte le forze politiche, di governo e di opposizione, siano allineate nel sostenere che la migrazione sia un “problema” e che il nostro paese non possa accogliere indiscriminatamente le migliaia di profughi che premono alle nostre frontiere. Vorrei sbagliarmi, ma mi sembra che anche il Fatto non sia lontano da questa visione. Le differenze di approccio tra i vari schieramenti, che certo ci sono, perdono consistenza se alle spalle c’è questa visione comune.
Sono poche le voci che hanno il coraggio di proporre un paradigma diverso: invece di pensare a come frenare l’invasione, pensiamo a come organizzarci per accogliere il maggior numero di persone possibili.
Oliviero Toscani a la Zanzara su Radio 24 è tra i pochi che ha osato dire che l’immigrazione è indispensabile per un’Italia sempre più vecchia (non solo anagraficamente) che ricaverebbe enormi benefici da un rimescolamento culturale, se ben gestito. Le strade percorribili sono diverse. Basti pensare all’esperienza di Mimmo Lucano a Riace. I presunti errori della condotta di un singolo non possono mettere in discussione la validità di un approccio che era stato oggetto di studio da parte di tutto il mondo.
L’Italia è piena di borghi, territori, campagne abbandonate. Luoghi in cui l’integrazione sarebbe più facile rispetto ai grandi centri urbani. Ma sono sicuro che esistono altri modi intelligenti di gestire in modo proficuo questo fenomeno inarrestabile. Perchè non si apre un dibattito serio su questo? Sembra assodato che qualsiasi forza politica che si dica favorevole alla piena accoglienza perda automaticamente consensi. E forse è vero in prima battuta, ma un’azione che punti apertamente in questa direzione con un approccio razionale alle dinamiche della nostra epoca troverebbe già nel medio periodo una platea di consensi molto più ampia di quella che si possa immaginare.
In tutto questo non ho fatto menzione al discorso puramente umanitario che già da solo dovrebbe imporci di dare aiuto e assistenza a chi proviene da situazioni di sofferenza e persecuzione, perché di fronte a questo sono già pronte e servite le classiche risposte preconfezionate sentite mille volte, del tipo: “dobbiamo aiutarli a casa loro” o “meglio non accoglierli se non possiamo farlo in modo dignitoso” e panzane simili. Mi auguro dunque che Il Fatto si faccia promotore (insieme alle tante associazioni e organizzazioni che già si occupano del tema, ma che hanno meno visibilità) di aprire un dibattito su tutto questo.