C’è l’Ucraina che si estende entro i confini ufficiali di Kiev, violati da Mosca a febbraio 2022. Ma c’è anche l’Ucraina d’Europa, quella costituita dai migranti e dalla diaspora che, negli anni seguiti al crollo dell’Urss, ha trovato casa nell’Unione, in particolare in Italia.
“Fondamentali nell’aiutare i rifugiati che scappavano dalla guerra, oltre alle famiglie italiane che hanno aperto le loro porte, sono stati gli ucraini che già risiedevano in comunità numerose all’estero, in particolare in Stati come l’Italia. Ci sono già studi sugli effetti della guerra sul cambiamento della migrazione, sui nuclei migratori precedenti, purtroppo non sono stati ancora registrati numeri esatti”, dice a Ilfattoquotidiano.it l’attivista e ricercatrice Iuliia Lashchuk, accademica esperta di migrazioni e gender studies, ospite al Festival di Internazionale in corso a Ferrara.
In Italia risiedeva una delle più grandi comunità ucraine d’Europa: il 77% degli oltre 200mila cittadini era costituito da donne. Cosa è cambiato dopo oltre 500 giorni di conflitto?
Le prime donne ucraine hanno cominciato ad arrivare negli Anni 90: da allora, l’Italia è diventata una meta “gender dominated”, dominata dal genere femminile. La migrazione si è estesa a palla di neve: la connessione sociale ha permesso poi l’arrivo di parenti, vicini, amici nel Paese. La stessa cosa è avvenuta nel 2022. Dopo l’invasione su larga scala, sono state loro ad accogliere in Italia, allo stesso modo, nuclei familiari o amicali: era la cosa più logica da fare qui dove c’è già un problema di infrastrutture per l’accoglienza.
Dove si trova oggi la maggior parte dei rifugiati scappati dalle bombe?
Difficile trovare una cifra definitiva, ma in termini di accoglienza i Paesi che ospitano più ucraini sono Germania, Polonia, Repubblica Ceca. A questi, segue l’Italia.
Quali sono le maggiori difficoltà che affrontano oggi?
Si tratta di rifugiati che scappano dalla guerra, non migranti che scappano dalla povertà, e appartengono a diverse classi sociali. Quando provano a entrare nel mercato del lavoro trovano solo quella nicchia lavorativa a cui altri cittadini della medesima nazionalità accedevano prima: in Italia è quasi impossibile trovare un impiego diverso da quello di badante. In Germania e in Polonia ci sono situazioni simili: sono disponibili solo “lavori ucraini”. Nei Paesi Bassi la situazione è invece diversa: la migrazione originaria è costituita da studenti e professionisti e ci sono meno stereotipi lavorativi. C’è la questione culturale in primis: per molti ucraini, soprattutto per affinità linguistica, è più facile rimanere in Polonia. La maggior parte delle donne che ha abbandonato l’Ucraina nell’ultimo anno lavorava nell’educazione che ora risente profondamente della loro assenza in patria. Oltre a insegnanti e maestre, in Europa sono arrivate esperte del campo medico e commerciale. Gli uomini che invece sono rientrati in Ucraina per servire nell’esercito hanno lasciato un vuoto occupazionale soprattutto nel campo edile. Faccio un esempio: quando in massa sono rientrati dalla Polonia, sono stati interrotti i lavori a una linea della metro di Varsavia per carenza di personale.
Non una volta sola l’Osce ha lanciato l’allarme: moltissime donne ucraine sono vittima dei trafficanti che le obbligano alla prostituzione, costrette da chi le ha accolte con l’inganno promettendo rifugio.
È difficilissimo ricostruire contatti e schemi di quegli uomini che aspettavano al confine dicendo di offrire rifugio a donne già traumatizzate dalla guerra. Lo sfruttamento non si è fermato da allora, molte non denunciano per le ragioni più varie: hanno paura oppure non conoscono la lingua del Paese in cui si trovano. Anche prima della guerra le donne ucraine erano le più vulnerabili al traffico della prostituzione.