“Il sistema attuale ostacola considerevolmente la repressione della corruzione, perché incentiva tattiche dilatorie da parte degli avvocati”. Risultato? “Un’alta percentuale di cause cade in prescrizione dopo la condanna di primo grado, l’Italia è 26° nella Ue per il controllo della corruzione, Transparency International ha dato all’Italia uno dei punteggi più bassi nell’Ue, e il Paese si è classificato 120esimo su 138 per favoritismi nelle decisioni pubbliche e 87esimo sulla distrazione di fondi pubblici”. Conclusione? “Se la questione non sarà affrontata, la fiducia dei cittadini e degli investitori nello Stato di diritto potrebbe diminuire”. Così scriveva la Commissione europea nel rapporto semestrale sull’Italia del febbraio 2017, l’ultimo pubblicato sotto la vigenza della legge ex Cirielli. Il sistema approvato nel 2005 dal governo Berlusconi, che ora la maggioranza e i centristi di Azione e Iv vorrebbero resuscitare, aveva trasformato il nostro Paese in un sorvegliato speciale dal punto di vista della giustizia, dimezzando i termini di estinzione per i reati economici e contro la pubblica amministrazione. I 130mila processi in fumo ogni anno e l’impunità diffusa per i reati dei colletti bianchi preoccupavano le istituzioni di Bruxelles e non solo: per anni il Greco (Groupe d’Etats contre la corruption, l’organo anticorruzione del Consiglio d’Europa) ha raccomandato con urgenza ai governi di Roma una riforma che bloccasse il decorso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, per “aumentare gli incentivi a ricorrere a procedimenti abbreviati e ridurre gli abusi del processo, contribuendo quindi a rafforzare l’efficacia della giustizia penale”.
Va da sé infatti che nessun imputato avrà interesse ad accorciare il processo (ad esempio patteggiando la condanna) se ha fiducia di poter guadagnare la prescrizione in tempi rapidi. Al contrario, si moltiplicheranno le perdite di tempo da parte degli avvocati, come le richieste strumentali di rinvio o le impugnazioni pretestuose. Un primo passo avanti in questo senso l’Italia l’aveva fatto con la riforma Orlando approvata a giugno 2017, che allungava i termini di prescrizione sospendendoli per un massimo di 36 mesi tra Appello e Cassazione. L’anno dopo infatti il giudizio di Bruxelles era nettamente migliorato: “Sebbene non interrompa i termini di prescrizione dopo la condanna in primo grado, come raccomandato dal Greco, la riforma potrebbe ridurre il ricorso ad abusi del contenzioso in ambito penale come tattica per ritardare i successivi gradi di giudizio. In tal modo potrebbe attenuare un timore di lunga data che le cause di corruzione cadano in prescrizione dopo la condanna in primo grado”. Ma come prevedibile la riforma più apprezzata in assoluto dall’Europa era stata quella successiva, firmata nel 2019 dal governo gialloverde con il Guardasigilli del M5s Alfonso Bonafede, che finalmente bloccava del tutto il termine dopo la sentenza di primo grado. “Una riforma benvenuta, che è in linea con una raccomandazione specifica per il Paese formulata da tempo”, si leggeva nel rapporto del 2020. Ora il governo si prepara a cancellare tutti quei progressi, portando la giustiza italiana indietro di 18 anni. Chissà cosa ne penserà l’Europa.