Ha vinto la casta. In realtà aveva già vinto, perché in estate il parlamento ha approvato di straforo un emendamento (si dice promosso soprattutto dal forzista e re delle piscine Barelli) che consentiva comunque a tutti i padri padroni delle Federazioni, in carica di decenni, di ricandidarsi ancora. Ma adesso è arrivata anche la benedizione della Consulta: i giudici hanno stabilito che era incostituzionale il limite di tre mandati fissato dalla famosa legge 8/2018 dell’ex ministro Lotti. I boiardi dello sport potranno farsi rieleggere potenzialmente in eterno.
Come già raccontato dal Fatto, pur di salvare la poltrona i presidenti federali si erano inventati un ricorso al Tar, presentato come grimaldello da alcuni sconosciuti consiglieri regionali del tennis, per sollevare la questione di incostituzionalità e arrivare fino alla Consulta, così da scardinare la legge che, superato il limite di tre mandati e pure la rielezione di bonus concessa all’ultimo giro, li avrebbe costretti ad andare a casa. Obiettivo raggiunto in tutto e per tutto. Agitando lo spettro della sentenza in arrivo e smuovendo tutte le loro amicizie politiche, i presidenti avevano già ottenuto in estate il provvedimento che gli permetterà di rimanere in sella, con l’unica condizione di dover prendere una maggioranza qualificata dei due terzi. Intanto però è arrivata anche la sentenza della Consulta, e pure questa dà ragione ai boiardi.
In realtà il dispositivo della Corte è ovviamente più complesso di così. La sentenza n.184 (relatore il giudice Daria De Pretis) innanzitutto si pronuncia solo sugli organi territoriali, visto che il ricorso era stato presentato dai consiglieri regionali, quindi in teoria non riguarda i presidenti, anche se è chiaro che stabilisce un principio generale. Quello dell’incostituzionalità del limite. Attenzione, però, non in assoluto, ma solo per come è stato fatto. I giudici infatti sottolineano che è legittimo che lo Stato intervenga per “evitare la formazione e la cristallizzazione di gruppi di potere interni”, “una finalità che non risulta né arbitraria, né pretestuosa”. Il problema della legge Lotti era la sua “drasticità e irreversibilità”: “il divieto definitivo (tre mandati e poi basta per sempre, nda) risulta “eccessivo rispetto alla finalità pur legittimamente perseguita”. Insomma, un freno alle rielezioni in eterno dei presidenti si poteva mettere, ma non così: probabilmente il punto di caduta più equilibrato sarebbe stato quello del limite di tre mandati “consecutivi”. Ma oggi comunque la questione non si pone più, perché la norma contestata è stata superata dall’emendamento approvato in estate, che ha già sanato il problema. Un regalo comunque gradito, visto che la sentenza odierna, benché favorevole ai presidenti, li avrebbe costretti a stare fermi almeno un giro, e invece così non dovranno saltare nemmeno quello.
Resta forse un solo nodo da sciogliere. Cosa ne sarà del Coni e di Giovanni Malagò, l’unico dirigente sportivo per cui il limite di tre mandati resta ancora in valido, visto che il ricorso (come del resto l’emendamento) riguardava solo le Federazioni? Potrebbe vedere in questa sentenza un appiglio a cui aggrapparsi anche lui. In realtà, la Consulta chiarisce ripetutamente che il suo ragionamento vale per le Federazioni proprio perché soggetti di diritto privato, mentre il Comitato olimpico è un ente pubblico. Sul piano giuridico nessuno spiraglio dunque, ma diversa è la sensibilità politica. E pare che in parlamento qualcuno stia già preparando un altro emendamento…