Sorvegliata per mesi, perquisita e chiusa in una cella per ottenere il nome delle fonti del suo lavoro d’inchiesta. Succede nella Francia di Emmanuel Macron, in Europa, nel 2023. È successo ad Ariane Lavrilleux, la giornalista che dieci giorni fa, a Marsiglia, è stata svegliata all’alba da una squadra dei servizi segreti che indagano contro il terrorismo. Dopo aver pubblicato articoli con documenti classificati sul coinvolgimento dello Stato francese in esecuzioni di civili in Egitto, il 19 settembre ha subito la perquisizione di casa: per dieci ore nove agenti, dotati di un
software che permette di aggirare i codici personali, hanno frugato dentro computer e telefoni. La giornalista è stata quindi trasferita in questura e tenuta in stato di fermo per 39 ore. “Quello che sta succedendo a me riguarda tutti i giornalisti in tutti i Paesi europei“, dice Lavrilleux a ilfattoquotidiano.it. “Serve una reazione“. Nelle scorse ore il giudice ha dato il via libera all’uso del materiale raccolto dai servizi, giustificando la decisione per “un imperativo preponderante di utilità pubblica”. “Di cosa parla?”, ha denunciato la giornalista. “Di fronte all’interesse pubblico manifesto di documentare i crimini della Francia, la giustizia si autorizza a una minaccia senza precedenti della protezione delle fonti. È inammissibile in una democrazia e il silenzio del governo è indegno”. E per questo sta cercando di allargare la mobilitazione e non solo ai giornalisti: “Abbiamo superato un nuovo livello e la posta in gioco non è solo la storia personale di una giornalista che è stata un po’ maltrattata, ma il nostro diritto di cittadini di sapere cosa fanno i governi in nostro nome”.
Perché cercano le sue fonti – Lavrilleux è co-autrice dell’inchiesta rinominata “Egypt papers” e che venne pubblicata dal sito investigativo Disclose a novembre 2021. Tutto si basa su “centinaia di documenti segreti che sono circolati ai livelli più alti dello Stato francese” e di cui la giornalista è venuta in possesso. Testi che documentano il coivolgimento della Francia in crimini commessi dal dittatore egiziano al-Sisi. Uno dei focus si concentra sulla cosiddetta operazione Sirli, iniziata sotto François Hollande nel 2016 e mai messa in discussione: gli atti trasmessi dalle fonti della giornalista, testimoniano come le armi francesi destinate alla lotta al terrorismo, siano state usate, con il via libera dell’Eliseo, per escuzioni sommarie volute dall’Egitto. In particolare, si legge, le informazioni trasmesse dall’areo di sorveglianza dei servizi francesi sono servite all’esercito egiziano per bombardare civili accusati di contrabbando e migranti. La perquisizione della giornalista è scattata a mesi di distanza dalla pubblicazione. “Ho scoperto che ero sotto sorveglianza da tempo“, ha raccontato lei nella conferenza stampa dopo la liberazione. “Alle 6:05 del mattino si sono presentati a casa mia nove agenti dell’intelligence e magistrati che di solito si occupano della lotta al terrorismo. Avete capito bene, della lotta al terrorismo. Sono arrivati a casa mia con valigie piene di software per computer per estrarre e analizzare i dati presenti sui miei telefoni, laptop e hard disk. Hanno tenuto le mie schede sim”. Dopo la perquisizione a casa della giornalista, un ex militare è stato messo in stato di fermo con l’accusa di “appropriazione indebita e divulgazione di segreti della difesa nazionale”. Rischia sette anni di carcere e una multa da 100mila euro.
“Lo spionaggio dei giornalisti riguarda tutti” – Lavrilleux da dieci giorni cerca di difendersi dentro e fuori i tribunali. E soprattutto mette in guardia di fronte a un clima di intimidazione che non riguarda solo lei. “Tocca tutta l’Europa”, dice a ilfattoquotidiano.it. “Perché il Parlamento europeo sta attualmente discutendo l’European Media Freedom Act e il governo francese ha fatto in modo che sia autorizzato l’uso di software spia contro i giornalisti in nome della protezione della sicurezza nazionale”. La giornalista si riferisce al primo regolamento Ue che interviene sui media, elaborato dalla commissione, e in questi giorni nella fase finale di discussione. All’art.4, proprio su input di alcuni Stati (in primis la Francia), viene vietato lo spionaggio dei giornalisti, ma con una lunga serie di eccezioni in nome di un presunto “interesse nazionale” che di fatto indeboliscono la tutela delle fonti. Su questo c’è stata una grande mobilitazione di attori della società civile, ma al momento non è stato sufficiente. “È una deriva molto seria“, continua Lavrilleux insistendo sul fatto che non è solo una questione che riguarda lei, “e gli altri partner europei e gli altri deputati devono reagire per impedire che avvenga quello a cui stiamo assistendo in Francia. Perché questo ricorda altre democrazie estremamente difettose”. E conclude: “Ecco perché è una questione che riguarda tutti i giornalisti, perché se danno retta al governo francese, allora non sono solo alcuni giornalisti francesi a rischiare di essere arrestati e perquisiti, ma tutti i quelli dei Paesi dell’Unione europea. In Europa hanno scelto di seguire l’esempio della Francia, il che è molto grave e molto dannoso per la protezione delle fonti. Avremo bisogno di una reazione importante da parte dei nostri colleghi europei”.
In difesa di Lavrilleux si sono già schierate alcune delle più grandi associazioni, da Amnesty International alla Federazione internazionale per i diritti umani. Mentre la Federazione europea dei giornalisti ha dichiarato che farà una segnalazione di allerta sulla piattaforma del Consiglio d’europa. Poche ore dopo la liberazione di Lavrilleux, Reporters sans Frontières ha organizzato una conferenza stampa nella sede di Parigi. Lì la cronista ha rilanciato ancora: “Durante quelle 39 ore” di fermo, ” sono stata sia una vittima che una testimone privilegiata di un dirottamento indebito delle risorse della lotta al terrorismo in Francia. Che per ore e forse anche per mesi sono state mobilitate per rintracciare una giornalista e la sua fonte”. E ha chiuso: “Forse stavano cercando di intimidirmi e scoraggiarmi e con me tutti i giornalisti seri che interrogano il potere, ma hanno fallito. Sono uscita da questo fermo ancora più combattiva. Per me ha dimostrato che siamo un fastidio e che siamo necessari”. Al suo fianco, in Francia, si sono già esposte più di 40 associazioni di giornalisti: “L’esercizio stesso del mestiere di giornalista è in pericolo“, hanno scritto ad esempio i redattori di Le Monde. “Questa situazione gravissima si iscrive in un contesto di moltiplicazione di procedure contro i giornalisti e deve mobilitare tutte le persone che tengono alla libertà di stampa”. A loro si sono associati i giornalisti di Libération che, neanche 24 ore dopo l’arresto di Lavrilleux, hanno avuto tre colleghi (Ismaël Halissat, Fabien Leboucq e Antoine Schirer) convocati dalla polizia per una serie di articoli sull’uccisione di un ragazzo da parte di un agente. Sono tutti atti, ha scritto il comitato di redazione, “indegni di un Paese democratico”. Non si può più stare in silenzio, dicono i giornalisti, perché il rischio è troppo grande. Un appello rivolto dentro e fuori la Francia.