Piazza di Spagna, scalinata di Trinità dei Monti. Cento patrizi della Roma bene, schierati di tutto punto in smoking e abiti da sera, posano sorridenti insieme alla coppa. E poi via tutti insieme su navette private verso le Terme di Caracalla, dove va in scena la cena di gala riservata a pochi (ma mica tanto) eletti: oltre mille persone, mezzo governo, non solo il ministro dello Sport, Andrea Abodi, ma anche Santanché e Tajani che più si sono spesi sull’evento, e pure Sangiuliano e Urso. L’intero Olimpo della politica sportiva, dal golf padrone di casa fino al pallone, compreso l’ex ct Roberto Mancini che ha ritrovato per la prima volta il suo vecchio amico Gravina. E ancora atleti, attori, subrette, imprenditori, lobbisti, chiunque sia riuscito a procurarsi l’ambito invito, o accaparrarsi a peso d’oro (soprattutto gli stranieri) uno degli 85 tavoli, dove chi c’è stato racconta che sono state servite portate a base di pesce e si è bevuto per tutta la cena solo ed esclusivamente champagne Moët & Chandon, prima di un ultimo scatto in favor di telecamere. La foto di gruppo perfetta della Ryder Cup 2023: un torneo dei ricchi, per i ricchi.
Nel corso degli anni, la Ryder Cup e la sua organizzazione pubblica (60 milioni di euro infilati in manovra ai tempi dei governi renziani e scoperti dal Fatto Quotidiano) sono state al centro delle polemiche. “Dare soldi al golf” è diventata un’espressione quasi proverbiale, sinonimo di spreco e disuguaglianza. Gli organizzatori si sono sempre difesi sostenendo che la Ryder Cup a Roma sarebbe stato tutto il contrario, sarebbe servita proprio a rendere il golf uno sport popolare ed accessibile a tutti. Invece oggi che il grande evento è diventato realtà ci si accorge che è andata esattamente come tutti immaginavano. Una manifestazione privata che ha fatto la fortuna di pochi – il n.1 del golf italiano, Franco Chimenti, che può vantarsi di averla portata in Italia, gli organizzatori inglesi che si sono regalati le loro vacanze romane e ovviamente i proprietari del campo, la famiglia Biagiotti – lasciando poco o nulla al Paese.
Se questo è successo è anche e soprattutto colpa di come è stato concepito il progetto. Viziato da un peccato originale, che ancora oggi grida vendetta: la sede di gioco, non una struttura pubblica ma un circolo privato, non di una famiglia qualunque ma dei Biagiotti. Scelto chissà come otto anni fa, senza una procedura trasparente (gli organizzatori hanno sempre detto che siano stati gli inglesi a indicarlo come unica opzione, versione mai confermata in questi termini dai diretti interessati). Sta di fatto che i soldi del progetto Ryder finanziato dal pubblico sono serviti anche per affittare il campo, e quindi pagare direttamente (come nel caso dei lavori sui cavi elettrici di Terna) o indirettamente la ristrutturazione del circolo. La FederGolf avrebbe potuto puntare sul suo campo federale, a Sutri, che pure in questi anni è stato rinnovato ma non potrà certo fregiarsi del prestigio della Ryder, oppure costruire una nuova struttura ex novo. Si è deciso invece di rivolgersi ai privati, e una vola terminato l’evento saranno loro a ritrovarsi tra le mani il gioiellino che ha ospitato la Ryder e godersi i benefici (anche economici) che un tale vanto comporta.
Discorso simile per il movimento, che doveva diventare uno sport nazionalpopolare grazie alla Ryder. Invece non c’è stato nessun boom del golf in Italia, almeno non fino ad oggi: l’aumento dei tesserati era al centro del progetto e del suo business plan, gli organizzatori contavano di ricavarne 30 milioni di euro. In realtà dalla candidatura ad oggi il numero è rimasto più o meno stazionario, passando dai 90mila del 2015 ai 94mila al 31 dicembre 2022 (ultimo dato disponibile sul sito della Federazione). 60 milioni e passa di contributi pubblici per 4mila tessere in più. Magari andrà meglio nei prossimi anni, sulla scia del grande evento. Per ora è solo la dimostrazione che il piano di promozione alla base dell’evento è stato fallimentare. Le iniziative di diffusione della pratica si sono limitate a qualche piccolo open day nei circoli o in piazze famose, dall’impatto evidentemente minimo, come raccontano i numeri. Gli organizzatori rivendicano di aver reso il golf accessibile a tutti, grazie agli accordi commerciali con Decathlon (dove si può comprare a prezzi calmierati un kit di avviamento) e la tessera federale a soli 100 euro l’anno, addirittura 10 per i ragazzi. Tutto vero, ma oggi giocare a golf in Italia resta difficile e costoso. Una volta tesserati con la Federazione, bisogna comunque pagare l’ingresso (il cosiddetto “green fee”) nei circoli, che sono pochi, quasi tutti privati e non certo economici. Al Marco Simone, ad esempio, dopo l’evento le tariffe schizzeranno fino a 350 euro al giorno. Vuoi mettere lo sfizio di farsi un paio di buche sullo stesso campo dove si sono sfidati i campioni. Ma in quanti potranno permetterselo?
Nonostante la retorica, il golf in Italia è ancora uno sport per ricchi. E la Ryder è il loro torneo. I biglietti, prezzi anche fino a centinaia di euro, sono andati sold out da tempo e sono stati venduti quasi tutti all’estero (appena il 10% è stato comprato da italiani). A dimostrazione che questo è un torneo per gli altri. Ai romani, invece, a parte l’indotto dei turisti che per una settimana hanno invaso la città (che comunque era piena già da mesi, anche senza la Ryder), non è andato nulla. Anzi, si sono risvegliati con la città paralizzata dal traffico, persino più del solito. E il Comune ha tolto loro pure la metro, perché pur sapendolo da sette anni nessuno ha pensato a potenziare i servizi, e i treni della linea B1 come rivelato dal Fatto sono stati dirottati sulla linea parallela che serve il torneo, tagliando fuori tre interi quartieri e oltre 50mila residenti. Di che si lamentano: come si dice in questi casi, che mangino pure brioche. Anzi, che giochino a golf.