Società

“Dove lo metto il nonno?”: ma è sepolto dal 1934. Un caso che mi ha fatto riflettere

“Io sono il nipote, hanno tolto stamani il nonno e la nonna e ci hanno detto che o li si metteva nell’ossario comune o bisognava prendere un ossario. In famiglia sono rimasto solo io e vorrei quindi pagare per questo ossario”. Per motivi di lavoro mi capitano davanti persone bisognose di occuparsi (anche) di morti. Chiedono i cosiddetti “servizi cimiteriali” ovvero pratiche con cui burocraticamente si registrano operazioni reali legate alla collocazione di cadaveri o resti mortali in un posto comunale dato in concessione: un loculo o un ossario (immaginate un loculo, più piccolo). A chiedermi quella pratica cimiteriale, davanti a me qualche giorno fa, c’era un uomo di 87 anni e “il nonno e la nonna” di cui si stava interessando erano due persone sepolte nel 1934 e nel 1967, rispettivamente 89 e 56 anni fa. Vista la sua età lui, “il nonno” l’aveva conosciuto giusto per due anni di vita, “la nonna” un po’ di più. Ma anche solo dal momento della sua morte ad oggi era passato oltre mezzo secolo.

Questa situazione mi ha molto incuriosito e fatto riflettere. Il nonno e la nonna del cittadino che avevo davanti non esistevano più da molto tempo. Quanto questa persona stava chiedendo di trasferire in un nuovo spazio pubblico, per altri 35 anni, erano resti mortali, porzioni di uno scheletro ormai quasi polverizzato. Eppure per lui la collocazione di quei resti in un nuovo spazio comunale (ossario) concesso per ulteriori 35 anni, era un bisogno di cui interessarsi, occuparsi e persino pagare il dovuto.

Nel gestire la pratica cimiteriale del “nonno” e della “nonna” del mio cittadino-utente 87enne non c’era registrato quasi alcun dato anagrafico. Al tempo della morte del nonno, 1934, c’erano sicuramente dei registri, ma il dato personale di dove e quando fosse nato, o chi fossero i suoi genitori o il suo luogo di residenza, non era incluso nel database dell’anagrafe nazionale. Idem per la nonna. Il “nonno” e la “nonna” erano quindi quasi burocraticamente spariti, o meglio, come per il loro corpo, larga parte di quanto continuava a tenerli “esistenti” come persone – i loro dati personali – si era decomposto e non era stato conservato. Del “nonno” e della “nonna” restavano un nome e un cognome e un mucchietto di resti ossei, irriconoscibili, che godevano di un diritto, quello della sepoltura, sancito dall’art. 50 del DPR 10 settembre 1990 n. 285. E grazie a quel diritto e all’esborso del nipote, unico ancora a riconoscerli, avrebbero occupato uno spazio comunale cimiteriale, creato e manutento da persone, pagate da una Pubblica Amministrazione italiana, con materiali a carico di quest’ultima, per altri 35 anni.

Ci sono diversi punti da cui leggere questa storia. Il primo per me è il peso della nostra immaginazione – per dirla con le parole di Yuval Noah Harari – nel generare azioni che incidono sulla società e sul nostro pianeta. Ci vuole tanta immaginazione in un 87enne per vedere “il nonno” e “la nonna” in due mucchietti di resti di quasi un secolo fa. Ma ancora di più ce ne vuole per ritenere che la conservazione di questi resti debba restare oltre la propria vita, per perpetuare l’identificazione di persone come entità distinte e distinguibili: identità quindi da preservare, per riconoscerle, in uno spazio dove burocraticamente per i prossimi 35 anni si potrà dire con certezza che ci sono i resti di quelle due persone, con un nome e un cognome. Persone ricordate oggi da un qualcuno che, ultimo paradosso, presumibilmente tra 35 anni, sarà morto.

Mi sono chiesto dove vuole arrivare la nostra immaginazione sul tema della conservazione dei morti mentre in parallelo il nostro sistema, giusto per dire due recenti dati emergenziali: negli ultimi tre decenni (1990-2019) ha visto il numero di nuovi casi di tumori negli under 50 aumentare del 79%, secondo una ricerca pubblicata su Bmj Oncology, o sta facendo estinguere non più solo le specie di viventi, ma persino “i generi” secondo quanto emerso dallo studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences a cura di ricercatori dell’Università di Stanford e dell’Università Nazionale Autonoma del Messico.

L’insostenibilità della nostra immaginazione, dei nostri valori e della nostra cultura, ha creato leggi insostenibili che generano burocrazie insostenibili. Se uno dei grandi temi del nostro tempo è e deve essere la burocrazia, nei termini di un suo miglioramento e alleggerimento, questo non può che essere affrontato partendo dalla leggi che guidano quella burocrazia e dall’immaginazione che le fonda. Per me è e resta insostenibile perpetuare immaginazioni – tradotte i valori e principi ad alta sensibilità – che sono disconnesse dalla natura. E la natura tratta i cadaveri come risorse, per chi è in vita. Noi poggiamo sui cadaveri e sulla loro supposta conservazione, un’attenzione e un’economia morbosa. Su cui nel 2023 forse dovremmo iniziare a riflettere.