Cultura

Raffa in the sky, la favola rivoluzionaria che posiziona la Carrà nel cielo stellato della lirica. Tripudio per la “fantaopera” di Micheli

di Diego Pretini

I brutti e cattivi minacciano e ridacchiano sarcastici, come fanno per contratto i brutti e cattivi nelle opere liriche, maledetti: “Perdenti! Farò crollare il vostro mondo” bercia il re malvagio. “Non ti stancare, ci pensano da soli a farlo crollare” gli tiene bordone il subdolo spicciafaccende. “Cade il mondo!” ripete il sovrano, tronfio. Questa volta, però, non c’è un tenorone dal petto gonfio come i tacchini a piombare dalle quinte a spadone sguainato né il finale prevede spargimenti di sangue o ultime esalazioni: a ribaltare la situazione, a sciogliere la trama e soprattutto a “salvare il mondo” è un’atmosfera sospesa e appesa a un abracadabra scandito piano piano, il cui incipit consta di queste 6 parole immortali da Trieste in giù: “Se per caso cadesse il mondo”. Una formula magica che disperde le minacce, trasmuta le brutte ghigne e, da buona prassi degli incantesimi, converte il perfido re. “Che succede, che succede? – si chiede – Il mio piede batte il tempo! Questa danza mi trascina, sento l’estasi vicina”. Eccola l’arma potente di Raffa in the Sky, “Tanti auguri, pum, a chi ha tanti amanti ha”, eccola l’eroina che tutti avevano sotto gli occhi e forse senza nemmeno saperlo, il mito rivoluzionario senza ideologie e senza pistola. Raffaella Carrà si posiziona nel cielo stellato della lirica tra Carmen, Aida, Tosca. Se reggerà al passare del tempo come quei personaggi leggendari di Bizet, Verdi o Puccini oggi nessuno può dirlo, ma al momento è più che sufficiente registrare che l’effetto in sala alla Prima mondiale al teatro Donizetti di Bergamo è stato un tripudio di 8-9 minuti di applausi interrotti solo da un bis necessario per stemperare il residuo di entusiasmo e sorrisi stampati in ciclostile sui volti degli spettatori sollevati di malavoglia dalle poltroncine.

La missione di Francesco Micheli, ideatore e regista di questa che ha chiamato “fantaopera”, appare compiuta e chissà che il destino non sia quello di riportare l’opera a una dimensione nazionalpopolare come in Italia è avvenuto per lunghi decenni, quando non era additata come un’attività elitaria ed esclusiva. Anzi l’operazione di Micheli, maestro di export della lirica fuori dai “sacri palazzi”, va in senso linearmente opposto perché la scelta di un soggetto con una tale potenza nell’immaginario collettivo può trascinare all’opera chi non c’è mai stato e magari poi spingerlo a sbirciare in una fessura che porta a Rossini, Donizetti, Verdi e chissà poi.

Fantaopera, appunto: Raffa in the sky è dotata di tutta l’intelaiatura delle storie che si recitano cantando da qualche secolo: un tenore, un soprano e via dicendo, una sinfonia che fa da ouverture, un libretto, i concertati; dall’altra parte la storia corre, sì, lungo la vita straordinaria della più grande star della tv italiana ma ha un sovrappiù di magico, che è quasi “un sogno, forse una favola” e come tutte le favole ha una morale e anzi più d’una, ha un “c’era una volta”, una serie di “peripezie” in mezzo e un finale da “vissero tutti felici e contenti” perché Raffaella salva tutti, compresa se stessa.

Da cosa? E allora: c’era una volta un re, si chiamava Apollo XI e guidava il pianeta Arkadia, regno abitato dagli spiriti dell’arte. Vuole salvare la Terra sempre sporca di sangue delle sue guerre e per una volta manda una messaggera che porti un “verbo tutto nuovo di liberazione e di gioia”. Così iniziano il viaggio e le battaglie di Raffaella che, scena dopo scena, emancipa se stessa e insieme chi la guarda in tv, che nell’opera è rappresentata da una coppia migrata dal Sud al Nord, Carmela e Vito, con tutte le arretratezze dell’Italia che negli anni Sessanta aveva fatto boom solo con l’economia, a cui la coppia peraltro contribuisce lavorando in fabbriche di tv e lavatrici. Il tuca tucacaschetto e ombelico all’aria – sconvolge per esempio la prospettiva di Carmela e Vito così come l’Italia bigotta di quegli anni: lei grida scandalizzata “Vergogna, uno schifo”, lui guarda la tv trasognato mentre cerca di replicare in modo più goffo di Alberto Sordi il balletto inventato da Don Lurio. E così arriva il censore che deve “troncare, sopire”, perché “il sesso fa male alla morale”. Anzi, di più: “Mia cara Raffaella, sei brava e sei bella, ma la televisione non è liberazione”. Eppure l’impresa di Raffaella attraversa i decenni: da una parte – un po’ da fata turchina o da Alidoro visto che siamo all’opera – spinge Luca (il figlio di Vito e Carmela) a non aver paura di essere se stesso e superare la delusione amorosa con il compagno di classe; dall’altra, come Prometeo, si ribella agli impresari tv che la vogliono in una gabbia dorata, facce ride, e infine anche agli spiriti dell’arte, rifiutandosi di tornare ad Arkadia.

Se entrambi gli atti di Raffa in the sky sprigionano l’impatto liberatorio di Carrà sui costumi e sull’opinione pubblica, dal finale emerge più esplicita la seconda morale che corre sottotraccia e riguarda l’arte e la cultura, la loro percezione, la loro funzione e – si potrebbe dire pure – la loro influenza nella società. Lo scontro finale tra la Raffa ribelle e il re Apollo che la rivuole sotto le “regole dell’arte” pare la madre di tutte le partite nel solito dibattito su “quale cultura”. E Alberto Mattioli e Renata Ciaravino, i librettisti – esperto di lirica lui, drammaturga lei – sul tema sono ispiratissimi e con le scarpe piene di sassolini da togliere. “Il mondo non si salva cantando e ballando – fanno dire al bieco aiutante del re – L’arte è una cosa seria”. Raffa risponde che ha solo “provato a dare conforto a chi subiva un torto”. “A chi? A questi due che in casa non han la libreria? Che l’arte non sanno cosa sia”, ribatte il re: “Fosse per questa gente l’arte sarebbe un passatempo deprimente”. La riscossa arriverà attraverso Luca che – finalmente libero di sentirsi cosa vuole grazie all’effetto-Raffa – spiega ad Apollo che “l’arte non serve a niente se ne gode poca gente”. Sono colpi di cannone che dal palco rischiano di prendere in pieno qualche posto in sala ad alto tasso di puzza sotto al naso, che si chiami radical-chicchismo o chicchismo senza nemmeno il radical. Per giunta mentre si celebra una figura che si era detta comunista.

Si potrebbero elencare vari possibili segreti del successo di Raffa in the sky. Sarà che forse lungo questa storia, un po’ fantastica e un po’ no, si ride e si sorride. Mattioli e Ciaravino disseminano il libretto di uscite umoristiche, prerogativa comune che – hanno spiegato – ha facilitato la co-scrittura. A titolo di esempio: Vito scrive (ma non invia) un’infantile lettera a Raffaella di cui si è platonicamente invaghito guardando la tv e, quando lo scopre, la moglie Carmela lo canzona con “Anche poeta!”, imperituro motto pronunciato dalla signorina Silvani a Fantozzi, innegabile monumento agli anni Settanta. E poi, però, insieme al divertimento, ci si può ritrovare in testa una frase che sembra una frustata (“C’è questa parola, profuma di erotismo. Ci manca ma ci salva: è l’anticonformismo”), lì in mezzo tra un Carramba e un Liebelai, proprio come la rivoluzione silenziosa e allegra di Carrà che mentre giocava con la disco music insegnava alle ragazze che anche loro potevano condurre il gioco della seduzione e non necessariamente aspettare di farsi preda. E infine, dentro Raffa in the sky, si percepisce pure qualche punta di emozione a ripensare alla forza tranquilla e riformatrice di una donna che di lavoro ha cantato e ha ballato e nel frattempo ha cambiato i connotati a un pezzo del suo popolo.

Questo marchingegno quasi miracoloso architettato da Micheli trova energia dal ruolo poderoso della musica composta da Lamberto Curtoni (giovane per gli standard dei giorni nostri, 36 anni) con la direzione di Carlo Boccadoro. La partitura non esce mai dalla forma lirica per come tutti la conoscono e, nel mentre, riesce a compenetrare le melodie delle canzoni di Raffaella Carrà, senza ricorso agli strumenti elettronici, citando qua e là Tchaikowsky e Mozart o attraversando in poche battute da un disegno che ricorda i compositori minimalisti al lento ingresso di A far l’amore comincia tu. Particolarmente intenso, aiutato da un ritmo percussivo quasi tribale, un concertato a 5 all’inizio del secondo atto nel quale i personaggi invocano Raffaella: “Non tutti hanno capito e si sono messi a giudicare”. Un passaggio sottolineato dalle immagini della vera Carrà sul fondo del palco e da un applauso del teatro, velato di riconoscenza.

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Poiché è “fanta”, questa opera che racconta i giorni nostri – così almeno questa volta non c’è polemica sulle “regie moderne” – ha pure una protagonista che non canta lirico in un cast pienamente lirico, circostanza che in qualche modo incrementa il contorno sfumato della fiaba: Chiara Dello Iacovo dimostra un lavoro sbalorditivo di osservazione e riproduzione di certi dettagli, dai movimenti (il modo di camminare sui tacchi o di muovere le mani e le dita) alla pronuncia marcata e assertiva che contraddistingueva il modo di parlare di Raffaella Carrà, senza peraltro scadere mai nell’imitazione e anzi – grazie alla regia di Micheli – “inventando” una supereroina favolosa (senso letterale) e un personaggio che non recita in un biopic ma vive e si anima pienamente sul palco. Da parte sua il cast lirico composto da Dave Monaco (Apollo XI), Gaia Petrone (Luca), Carmela Remigio (Carmela), Roberto Lorenzi (Fidelius che si traveste poi da censore e impresario tv) e Haris Andrianos (Vito) è particolarmente accurato – e anzi, divertito – nel rendere i numerosi e a volte rapidi cambi di atmosfera – da surreale a ironica, da drammatica a malinconica.

La potenza di Raffa – quella vera e quella fanta – fa sì che una parte del pubblico del Donizetti si senta inevitabilmente un po’ costretta ogni volta che balena un passaggio del libretto familiare o si affaccia una melodia riconoscibile: se lo canticchia in testa o ne scandisce le parole in lipsync per non disturbare il vicino di poltrona. Costretta e insieme però partecipe: la riconoscibilità in qualche modo aumenta la concentrazione nella fruizione. E però le decine di parrucche bionde a caschetto che hanno affollato platea e palchi per celebrare l’assunzione di Raffa nel cielo della lirica non riescono a non esplodere in un battimani ritmato al momento del bis, peraltro incoraggiato dal maestro Boccadoro: tutti a intonare Ballo ballo ballo, sopra e sotto al palco. Un evento anomalo per una fine di recita operistica che lascia un tratto di evidenziatore su un pensiero apparso nel tempo di un Carramba!: l’opera era più o meno viva già prima di ieri, ma così dà l’impressione di esserlo un po’ di più.

Info

Raffa in the sky | Fantaopera in due atti
Produzione
| Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo
Idea e regia | Francesco Micheli

Libretto | Renata Ciaravino e Alberto Mattioli
Musica | Lamberto Curtoni

Direttore | Carlo Boccadoro
Scene | Edoardo Sanchi
Costumi | Alessio Rosati
Coreografie | Mattia Agatiello
Light designer | Alessandro Andreoli

Raffaella Carrà | Chiara Dello Iacovo
Apollo XI, La Maestra di danza, Il Parrucchiere delle dive |Dave Monaco
La Nonna, L’Ostetrica, Luca | Gaia Petrone
Carmela | Carmela Remigio
Fidelius, La Star di Hollywood, Il grande censore, L’impresario della tivù | Roberto Lorenzi
Vito | Haris Andrianos

Orchestra | Donizetti Opera e Ensemble Sentieri Selvaggi
Coro | I Piccoli Musici direttore Mario Mora
Corpo di ballo | Danzatori della Fattoria Vittadini

Web | www.teatrodonizetti.it
Social | Fb @fondazioneteatrodonizettiIg @teatrodonizetti_bergamo

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