Tra pochi giorni, dopo la nomina dei nuovi cardinali, comincia il Sinodo mondiale dei vescovi. E, se non ci saranno cambiamenti, comincia male per quanto riguarda la trasparenza dell’informazione. Questo Sinodo, assemblea universale dei rappresentanti dei vescovi cattolici del pianeta (a cui si aggiungono i dirigenti della Curia e per la prima volta settanta “non vescovi” – uomini e donne – con diritto di voto) ha una importanza cruciale nel pontificato di papa Francesco. Perché affronta il ruolo della Chiesa nel secolo XXI, cercando di definire quale deve essere la vita ecclesiale concepita come “comunione”, in che modo dovrà articolarsi la “partecipazione” dei suoi membri e in che cosa consiste la sua “missione” nell’epoca contemporanea.

Alle domande dei giornalisti, sul volo di ritorno dalla Mongolia, il pontefice si è rifiutato di assicurare che gli interventi dei partecipanti al Sinodo durante il dibattito generale in aula saranno riportati nominativamente. Si prevedono bollettini stampa che indichino le tematiche affrontate nella discussione, ma non sarà reso noto cosa ha detto precisamente “quel” cardinale, “quel vescovo, “quella” suora. E quei laici e laiche che per la prima volta avranno diritto di esprimersi e votare con pari dignità.

È un oscuramento di non poco conto.

Ben due giornalisti, nella conferenza stampa che si svolge abitualmente in aereo con il pontefice, hanno insistito sulla questione della piena trasparenza. Il caporedattore di una televisione cattolica francese ha posto la domanda se vi sarà “condivisione pubblica” dell’esperienza sinodale e una veterana dell’informazione religiosa come l’americana Cindy Wooden del Catholic News Service è stata di una chiarezza esemplare: “Visto che noi giornalisti non abbiamo accesso almeno all’assemblea e alle sessioni generali, come possiamo essere sicuri che quello che ci viene dato come ‘pappa’ è vero?”.

La questione non è campata in aria. I sinodi dei vescovi si riuniscono da più di mezzo secolo di vita e sin dall’inizio le informazioni date alla stampa hanno sempre riportato – riguardo al dibattito generale (non quello nei gruppi di lavoro linguistici) – gli interventi nominativi dei partecipanti.

Papa Francesco ha risposto che bisogna “custodire: il clima sinodale. Questo non è un programma televisivo dove si parla di tutto… C’è un momento di interscambio religioso”. Nell’aula sinodale, ha soggiunto, gli spazi di intervento si alternano a momenti di silenzio per la preghiera. “Senza questo spirito di preghiera – ha sottolineato – non c’è sinodalità, è politica, è parlamentarismo”. Il Sinodo non è un Parlamento, ha insistito il pontefice, e perciò è necessario “custodire la religiosità e custodire la libertà delle persone che parlano”.

La questione è più complessa. Non si può certo pensare che Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, i quali sempre hanno garantito la trasparenza degli interventi, non abbiano avuto a cuore la religiosità e lo spirito di preghiera delle assemblee sinodali.

In realtà l’interruzione della piena trasparenza si è avuta con i primi Sinodi sulla famiglia, indetti da Francesco, perché il pontefice temeva che venissero esacerbati gli scontri interni tra tradizionalisti e riformatori a proposito della comunione da dare ai divorziati risposati. E in effetto il braccio di ferro tra i due schieramenti è stato tale che non si arrivò mai ad un documento che sancisse nero su bianco che l’eucaristia può essere data anche alle coppie di coloro che avevano interrotto un matrimonio precedente.

È servito il “segreto” sugli interventi? No. Perché da allora è divampato e prosegue tuttora lo scontro permanente e pubblico tra conservatori e riformatori: un dato ineludibile dell’attuale pontificato a fronte delle innovazioni prodotte da Francesco o ancora in cantiere.

Alcuni esponenti ecclesiali, che parteciperanno al Sinodo di ottobre, lamentano anche che sia previsto relativamente troppo poco spazio per gli interventi nell’assemblea generale. Una cosa, dicono, è parlare di fronte a tutti, innescando eventualmente una dinamica collettiva di dibattito e mutamento, altra cosa è “chiudere” gli eventuali dissensi nel recinto dei gruppi di lavoro linguistici.
In ogni caso, mantenere il segreto è un triplice errore. Anzitutto perché impedisce alla masse dei fedeli di sapere esattamente cosa dice e sostiene il proprio vescovo e cosa dichiarano i partecipanti sinodali provenienti da altre aree geografiche e culturali.

Inoltre perché impedisce di capire meglio il dibattito ecclesiale ad una vasta area di opinione pubblica laica, non credente o appartenente ad altre religioni, che segue con interesse il pontificato di Francesco.

Infine perché il Sinodo del 2023 e la sua conclusione nel 2024 ha di fatto il carattere di un mini-Concilio sulla missione e la forma della Chiesa nel nostro secolo e quindi la più ampia trasparenza e partecipazione dell’opinione pubblica cattolica influirà (o sarà emarginata) sulle discussioni e riflessioni che precedono l’elezione del futuro, nuovo pontefice. Sarà un Giovanni XXIV o un Benedetto XVII?

Nei primi sinodi del suo pontificato Francesco ha introdotto una importante novità: la comunicazione dei risultati delle votazioni su ogni singolo paragrafo del documento finale. Un modo significativo di rispecchiare i rapporti di forza all’interno dell’assemblea e anche i mutamenti di posizione su tematiche differenti. E’ questa la via maestra. Perciò molti auspicano che Francesco torni al vecchio sistema – corroborato da tre papi – di comunicare gli interventi di ogni oratore.

Il Sinodo è un momento decisionale, i fedeli si aspettano che ogni partecipante risponda personalmente e chiaramente delle proprie scelte.

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