Nonno Ottavio ha fatto la guerra in Ucraina. Non oggi certamente. Lui ha combattuto, lì, negli stessi posti di oggi, ma nella seconda guerra mondiale. Perché raccontarlo oggi?
Tutto è partito dal fatto che mio nipote Eliot che vive a New York, dopo aver superato i difficili test di accesso, è entrato nella migliore scuola di Scienze della città. I primi giorni gli hanno chiesto di parlare di alcune cose familiari. Lui che lo aveva già sentito raccontare in famiglia, ha voluto conoscere meglio la storia del suo bisnonno, che poi ha così ha iniziato a descrivere…
Story of your artifact and its significance to your family’s history:
My great grandfather on my mother’s side was 21 when he was drafted for the Italian Army in 1940.
E infatti ecco la storia di mio padre, come l’abbiamo spiegata a Eliot…
Quando è scoppiata la seconda guerra mondiale, per l’Italia nel 1940, lui è stato chiamato sotto le armi. L’Italia fascista con a capo il dittatore Mussolini faceva parte della Triplice alleanza con la Germania di Hitler e il Giappone dell’Imperatore Hiroito, e combatteva contro gli stati europei. I più importanti erano Francia, United Kingdom guidato da Churchill e gli USA guidati da F. D. Roosevelt e l’Unione Sovietica, oggi Russia, guidata da Stalin. Una curiosità: Stalin in russo significa acciaio, steel in inglese. Il suo vero nome è Iosif Vissarionovič Džugašvili.
Dopo un periodo di addestramento, nel 1942 il suo reparto è stato spostato sul fronte orientale contro i Sovietici. Il teatro di guerra corrisponde proprio a quello attuale tra Ucraina e Russia, cioè l’area compresa tra il fiume Dniepr (Don) e il fiume Dniester. L’esercito italiano era equipaggiato molto male con vestiti non adeguati alle temperature dell’inverno russo che raggiunge i -30°C, e soprattutto calzava scarpe di cartone. Anche le munizioni e la dotazione di tank e cannoni non erano al livello dei russi. Per spostare il cibo e l’attrezzatura militare dovevano utilizzare i muli. A nonno Ottavio era stato assegnato il compito di cucinare per tutti i soldati del suo reparto.
Dopo le prime battaglie all’esercito italiano fu impartito l’ordine di ritirarsi. Troppo diverse le forze italiane da quelle russe. Il ritorno verso l’Italia significava fare 2.000 km, quasi tutti a piedi. Era l’inverno tra il 1942 e il 1943, freddissimo e con molta neve. Fu una strage, molti soldati morirono di fame, di freddo o uccisi dai nemici. Pochi riuscirono a farsi aiutare dalle popolazioni locali. Nonno raccontava che alcune famiglie ucraine non solo lo sfamarono, ma lo ospitarono durante le notti molto fredde. Fu uno dei pochi che riuscirono a tornare in Italia. C’è un libro che descrive benissimo tutto questo disastro: Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern.
Una volta in Italia nonno fu spedito in Sicilia a combattere gli americani, che nel frattempo erano sbarcati da noi. Ricordo che raccontava che i suoi proiettili erano di gomma, mentre i nemici sparavano quelli veri di piombo (lead). Dopo poco tempo fu fatto prigioniero e trasferito in Africa, nella odierna Libia ormai sotto il controllo degli inglesi che avevano sconfitto gli eserciti della Germania e dell’Italia.
Non so quanto tempo rimase in Africa, ma comunque quando tornò in Italia la guerra era finita. A lui rimase per sempre di tutta questa esperienza il congelamento delle dita del piede.