Cinema

Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders torna in sala in versione 4k

di Davide Turrini

Amatori, fan, ditirambi del cinema e del mito di Wim Wenders unitevi. Dal 2 ottobre esce in diverse sale italiane, in versione 4k, nientemeno che Il cielo sopra Berlino. Un modo come un altro per dimostrare la vostra fidelizzazione (ultimamente avete battuto un po’ la fiacca) ad uno dei maestri tedeschi del dopoguerra (una manciata: Reitz, Herzog e in qualche modo Fassbinder) che tra gli anni settanta e ottanta tentò una ricostruzione di anima e identità dell’uomo contemporaneo rimanendo con un piede sul suolo teutonico e uno oltre confine con bussola dritta verso occidente.

“È il cinema in uno stato primordiale e vuoto, altrimenti detto esistenziale, dove i fenomeni hanno senso in quanto fenomeni, dove lo sguardo è esso stesso estetica”, ha scritto una importante cineteca nel catalogo di una recente retrospettiva su Wenders. Chi c’era tra le cinefilie d’assalto post ’77 ricorderà bene lo sguardo sognante e saccente degli iniziati wendersiani. Wenders, e il muto sodale Peter Handke, infilarono subito una sorta di rimbambente ko in pieni settanta con Falso Movimento e Nel corso del tempo, film che nella loro intelligibile incomprensibilità crearono l’alone del mito; poi i due assursero a ruolo di culto nei primi ottanta disegnando una propria struggente malinconica versione prima del noir poi dell’on the road statunitense con L’amico americano e soprattutto con Paris,Texas (forse il più completo e riuscito film del nostro).

Infine, il ritorno nel 1987 sul suolo patrio, l’heimat diviso e frantumato della capitale ancora separata dal muro, dove Wenders inquadra, spianando un bianco e nero lezioso e brumoso, lo svolazzare di due angeli invisibili e immortali (tra cui l’indimenticabile Bruno Ganz) sopra i tetti dei palazzi berlinesi, dediti all’ascolto dei pensieri intimi degli abitanti oltre finestre e porte, fin dentro gli appartamenti e le scatole craniche. Un’idea straordinaria visiva e filosofica per una prima parte folgorante e autentica che poi s’inerpica in un terreno impervio wendersiano carico di simbolismi (il circo, l’ennesimo amico americano), Il cielo sopra Berlino è prima di tutto un saggio sui movimenti di macchina ampi di dolly e crane, come di un irripetibile senso di doppiezza del suono diegetico da voce fuori campo (l’angelo che ascolta, gli esseri umani che pensano a bocca chiusa).

Ma come abbiamo detto e ripetuto, Wenders ha sempre diviso tra detrattori e entusiasti. “La loro (Wenders e Handke ndr) favola metafisica rischia francamente di annoiare (…) la trame si ripete nel tentativo di essere a tutti i costi poetica e la storia d’amore né spirituale né umana ma solo confusa, non riesce mai a coinvolgere protagonisti e spettatori”, scriveva in una delle prime copie del Dizionario dei Film, Paolo Mereghetti. Insomma, Il cielo sopra Berlino apice del Wenders di gioventù o prodromo dei propri devastanti manierismi naif degli anni a venire? Ispirato alla poesia di Rilke, ai quadri di Klee e pure all’Angelo della storia di Benjamin, Il cielo sopra Berlino torna in sala grazie alla collaborazione tra Cineteca di Bologna e CG Entertainement.

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