Osservando l’Iran, come tutto il Medioriente, si tende a costruire una visione polarizzata e pervasa di stereotipi. Un mondo fermo, immune alla modernità, che richiama al nostro immaginario scene di cammelli, minareti e tende nel deserto. Altro non sembra esserci. Per questo motivo, insieme al perenne affiorare di tuttologi che ingarbugliano ancora di più la nostra percezione della realtà, ci risulta ostico comprendere avvenimenti complessi che finiscono per arrivarci appiattiti dalla cronaca e dai cosiddetti “esperti”.

Qui entra in scena il prisma della letteratura. Iran Under 30, edito da Polidoro, è una raccolta di racconti di autori iraniani under trenta, tradotti da Melissa Fedi e Federica Ponzo, e con la prefazione di Ginevra Lamberti. Questo volume, dice Giacomo Longhi, traduttore dal persiano e curatore del volume, “incarna una doppia occasione: la possibilità per i lettori italiani di entrare nel vivo della fucina culturale dell’Iran e accedere a una narrazione inedita di un paese che affascina con tutti i suoi chiaroscuri; e la possibilità per i giovani e giovanissimi scrittori che hanno contribuito a questa raccolta di ampliare il loro pubblico e confrontarsi con chi li leggerà sotto un’altra luce, attraverso esperienze e visioni nuove e diverse”.

L’idea del volume nasce sul finire del 2022, sull’onda delle proteste in Iran che avevano portato alla morte di Mahsa Jina Amini, ventiduenne, morta sotto tortura durante dopo essere stata arrestata dalla polizia morale. Quella di Amini è la generazione di ragazze e ragazzi iraniani nati fra gli anni novanta e duemila, per questo anagraficamente lontani dalla rivoluzione del 1979 e dall’esperienza della guerra fra Iran e Iraq, 1980-1988. E’ una generazione cresciuta in un paese isolato e isolazionista ma inter-conessa al mondo, grazie a internet e ai canali satellitari: quindi aperta e ricettiva a quello che accade altrove. In questo senso, è una generazione pronta a rivendicare altri diritti e un altro futuro: consapevole però dell’alto prezzo da pagare.

Ma attenzione, fermarsi solo allo scontro politico, alla superficie, non ci restituirebbe la complessità di questi ragazzi/e. Ecco che, spiega Longhi, “nell’offrire un’immagine non polarizzata della realtà iraniana, questi dodici racconti possono spiazzare o disorientare il lettore abituato a una proposta editoriale ancora dominata da narrative di denuncia e a una rappresentazione mediatica impostata sulla cronaca di rivolte e scontri, sul contrasto tra due volti opposti di uno stesso paese, uno nero, religioso, oltranzista e ostile e uno colorato, edonista, ribelle; e, d’altra parte, nemmeno vanno ad alimentare una rappresentazione fiabesca di una terra esotica, dove bazar e moschee, figure velate, oasi e deserti sono lo sfondo di un mondo cristallizzato nel tempo, impermeabile alla modernità”.

La fantasia, i problemi quotidiani e i rapporti interpersonali – con padri, madri o amici – sono le chiavi di lettura per entrare, con garbo, nell’intimità di questi giovani scrittori. I loro dodici racconti sono il frutto di laboratori di scrittura tenuti, fra il 2020 e il 2022, da due autori iraniani di lunga esperienza: Mahsa Mohebali e Mohammad Tolouei, entrambi con all’attivo opere tradotte e pubblicate in italiano.

Il pregio di questa antologia, al momento unica sulla scena letteraria – almeno italiana – è quella di calarci nelle stradine di Teheran e nei salotti dove questi giovani si incontrano. Siamo con loro nel vivere i loro problemi reali, che siano l’elaborazione di un lutto, fino alla ricerca di un lavoro. Entriamo in un mondo vivo, forse più vivo e consapevole del nostro. Perciò è essenziale buttare via le riviste di geopolitica; spegnere la televisione con quei dibattiti inutili e aprire un libro, questo libro. E leggere l’Iran attraverso gli iraniani.

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