“Qui sono in gioco le grandi regole dello Stato di diritto. Da un lato la soggezione dei magistrati soltanto alla legge, a garanzia della loro autonomia, dall’altro la separazione dei poteri, che è ad essa correlata. Se una legge è in contrasto con la Costituzione o con le norme europee, il giudice deve rispettare e applicare queste ultime, non soggiacere alla volontà del governo”. Gaetano Azzariti, professore ordinario di Diritto costituzionale alla Sapienza di Roma, guarda con preoccupazione all’offensiva politica in corso nei confronti di Iolanda Apostolico, la giudice di Catania che ha disapplicato il decreto Cutro sull’immigrazione ritenendolo contrario al diritto dell’Unione europea e quindi alla nostra Carta. Solo nelle ultime ore la premier Giorgia Meloni ha accusato la magistrata di voler favorire l’immigrazione illegale, mentre il suo vice, il leader leghista Matteo Salvini, l’ha tacciata di malafede per alcuni vecchi post sui social in cui mostrava simpatie progressiste. “Una reazione scomposta e tutta politica che non dovrebbe avere rilevo sul piano costituzionale”, commenta Azzariti al fattoquotidiano.it.
Cosa intende?
La contestazione sarebbe accettabile se riguardasse il merito: è legittimo che il governo, autore della legge censurata, ritenga che la decisione sia sbagliata. Anche in questi casi, in realtà, bisognerebbe tenere un comportamento “istituzionale” e moderare i toni, nel rispetto del principio di leale collaborazione tra poteri, ma è una questione di sensibilità. In ogni caso il Governo può certamente impugnare l’ordinanza, come ha già annunciato di voler fare, e a quel punto sarà un altro giudice a verificare la giusta interpretazione della norma. Leggo invece che si è voluta montare una polemica sulle presunte opinioni personali della magistrata, senza prendere in considerazione alcuna le motivazioni del provvedimento. O meglio, la presidente del Consiglio cita una sola frase (sulle “caratteristiche fisiche del migrante, che i cercatori d’oro in Tunisia considerano favorevoli allo svolgimento della loro attività”, ndr) che però con quelle motivazioni non ha nulla a che vedere.
A lei la decisione convince?
Dal punto di vista formale non c’è nulla da discutere. La giudice poteva fare quella valutazione? Sì, anzi doveva: dal 1964 una famosa decisione della Corte di Giustizia dell’Unione europea, Costa v. Enel, ha affermato il primato del diritto comunitario. Nel nostro ordinamento questo principio ha una doppia copertura costituzionale: l’articolo 11 (“l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”, ndr) e l’articolo 117 primo comma, introdotto nel 2001, secondo cui la potestà legislativa è esercitata anche nel rispetto “dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”.
Basta questo per dire che il governo ha torto?
Si potrebbe ancora obiettare che la decisione sia sbagliata nel merito. La normativa comunitaria in questo caso è stata correttamente interpretata? Secondo me sì, perché la direttiva del 2013 sull’accoglienza dei richiedenti asilo stabilisce in modo chiarissimo il principio applicato dalla giudice: agli articoli 7 e 8 si afferma, in primo luogo, che la regola generale è quella della libertà di circolazione dei richiedenti sul territorio dello Stato membro, in secondo luogo che il trattenimento, che può essere stabilito solo in casi eccezionali, dev’essere adeguatamente motivato. Questo è il punto di diritto: purtroppo – o per fortuna, per i quattro migranti interessati – i provvedimenti del questore non erano motivati. E non lo erano a causa del decreto Cutro, che ha introdotto la detenzione automatica per chi arriva da Paesi considerati sicuri.
Insomma, è stata approvata una legge incostituzionale?
Il vizio di fondo del dl Cutro, ma anche dei successivi due decreti approvati dopo il boom di sbarchi a Lampedusa, è l’idea dell’automatismo: chiunque entra in Italia illegalmente dev’essere trattenuto. Politicamente non giudico, ma certamente è una filosofia in contrasto con la Costituzione italiana, con la giurisprudenza costituzionale italiana, con l’ordinamento internazionale e con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. La Consulta, ad esempio, ha detto chiaramente che il trattenimento va considerato una misura eccezionale in ossequio all’articolo 13 della Carta (“Non è ammessa forma alcuna di detenzione se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”, ndr).
Cosa vuol dire nella pratica?
Che è lo Stato ad avere l’onere di dimostrare, ad esempio, la pericolosità del soggetto per l’ordine pubblico, cioè la principale circostanza che giustifica il trattenimento. Il trattenimento è l’extrema ratio, la regola è la libertà. Se tu, Stato, vuoi trattenere il signor Tizio, devi dimostrare che è necessario per specifici motivi.
Quindi la giudice ha fatto bene a disapplicare la norma?
Se le si deve muovere una critica, forse è la seguente: poiché il sospetto di incostituzionalità riguarda la legge, e non solo il provvedimento del questore, si sarebbe potuta sollevare una questione di costituzionalità. Ritengo fosse una via percorribile, e forse più auspicabile, così a pronunciarsi sarebbe stata la Consulta sull’intera normativa e non il magistrato sul singolo caso.
Si aspetta che la questione verrà sollevata in futuro?
Forse il governo non si rende conto del ginepraio in cui si è messo, e dovrebbe riflettere con grande attenzione sulle disposizioni che approva. È legittimo essere di destra ed volere ostacolare le migrazioni, però c’è un limite invalicabile, quello definito dalla Costituzione insieme al diritto europeo. Invece, purtroppo, finora le politiche migratorie sono state focalizzate esclusivamente sul paradigma della sicurezza e dell’ordine pubblico, dimenticando del tutto la tutela dei diritti fondamentali. Questo alla fine farà cadere molte delle leggi varate dalla maggioranza, nel doveroso rispetto della Costituzione.
Quale sarà a quel punto la reazione politica?
Se, com’è prevedibile, altri magistrati, la Corte costituzionale, la Corte di Giustizia europea o la Corte europea dei diritti dell’uomo dovessero rilevare le criticità nella normativa italiana, cosa facciamo? Altre urla contro i giudici politicizzati? Sarebbe meglio, a mio avviso, che il governo prestasse maggiore attenzione alla cornice giuridico-costituzionale all’interno della quale deve svilupparsi l’indirizzo politico. Per questo sarebbe saggio se si adoperasse a modificare il decreto nel rispetto di quanto stabilito non dal giudice di Catania, ma dalla normativa comunitaria.
Scommetterebbe che verrà fatto?
Non scommetto nulla, ma vedo che c’è una forte tensione tra politica e magistratura, e questa tensione si sta inasprendo. Mi auguro soltanto che ritorni l’equilibrio e si possa ragionare nel rispetto dei limiti posti dalla Costituzione.