Dal 2011 la Libia non trova pace a causa di conflitti interni e divisioni politiche, con governi paralleli sostenuti da milizie e gruppi armati che non rendono conto a nessuno e che si autoproclamano legittimi. Nell’est del paese, le Forze armate arabe libiche del generale Haftar controllano il territorio e svolgono funzioni simili a quelle governative, con tanto di istituzioni-ombra.

L’uso, da parte delle Forze armate arabe libiche, di tattiche brutali per reprimere le proteste, limitare gli spazi alla società civile indipendente e mantenere saldamente il potere è stato ampiamente documentato dalle organizzazioni per i diritti umani. Il prezzo di questo non-governo è emerso in una dimensione apocalittica quando, l’11 settembre, la tempesta Daniel si è abbattuta sulla zona della “Montagna verde”. La città di Derna è andata sott’acqua a causa del crollo delle dighe di Abu Mansour e Al Bilad. Bilancio ancora non definitivo: 4000 morti e 9000 persone non più ritrovate. Quelle due dighe, costruite 50 anni fa, non ricevevano manutenzione da tempo immemore e già alla fine dello scorso secolo avevano mostrato segni di cedimento.

Migliaia di abitanti di Derna, insieme a molti soccorritori, sono scesi in strada per chiedere le dimissioni di politici locali e nazionali. Il nome più citato era quello di Aguila Saleh, presidente del parlamento libico. La casa del sindaco è stata data alle fiamme. Le Forze armate arabe libiche hanno risposto con la forza, operando arresti, limitando l’accesso della stampa a luoghi e fonti e vietando nuovi arrivi di giornalisti.

Jamal El Gomati, un creatore di contenuti social, è stato arrestato per aver espresso critiche alle autorità durante le sue dirette da Derna. È risultato scomparso per tre giorni, dal 17 al 19 settembre, prima che venisse scarcerato per intercessione di un alto comandante delle Forze armate arabe libiche. Haftar gestisce la situazione attraverso il figlio minore Saddam, privo di qualsiasi esperienza nel campo dell’emergenza. Gli aiuti arrivano con estrema lentezza a causa degli innumerevoli posti di blocco delle Forze armate arabe libiche e di milizie varie, che devono controllare che “gruppi estremisti” e di “infiltrati del governo occidentale” [quello di Tripoli, riconosciuto dalla comunità internazionale] non se ne approprino”.

Vengono anche prese decisioni contraddittorie. Dopo che i primi aiuti delle Nazioni Unite erano arrivati tempestivamente, il 19 settembre un loro portavoce ha denunciato che per gli altri non c’era l’autorizzazione a procedere. A una squadra medica proveniente dalla Libia occidentale e un team internazionale di soccorritori è stato detto di lasciare la zona. Un pubblico ministero del governo di Tripoli ha visitato le zone colpite dalle inondazioni promettendo un’indagine, al grido “Chi ha sbagliato, pagherà”. Ma dato il clima d’impunità dominante in Libia da oltre un decennio, è inimmaginabile che la giustizia interna favorisca la verità e la giustizia. Anche perché nelle zone devastate le autorità di Tripoli non sono riconosciute.

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