“Salvate il soldato MicroMega” è il titolo di un film diretto non da Steven Spielberg, bensì da Paolo Flores d’Arcais; che parte con un remake di trentotto anni fa, quando due laici a 24 carati – appunto PFdA e Giorgio Ruffolo – fondano una rivista la cui testata ha il sapore voltairiano di MicroMega (Micromégas, 1752), con cui dichiarano esplicitamente le radici del progetto editoriale in una sinistra illuminista, dunque critica e pluralista.
Lord protettore dell’apparentamento di quell’iniziativa nascente con la corazzata del giornalismo italiano, rappresentata dal Gruppo la Repubblica-l’Espresso, è un singolare gentiluomo, che fa della generosità intellettuale un linimento del proprio spleen: il principe Carlo Caracciolo. Con questo viatico, Mm diventa rapidamente il più combattivo organo di stampa e la più autorevole voce della cultura politica italiana in una Prima Repubblica ormai incamminata verso l’inarrestabile declino, prima di tutto etico. Lo fa acquisendo le collaborazioni di una sterminata platea di star internazionali e quale punto di riferimento irrinunciabile di una intellettualità nazionale che sempre di più si sente “straniera in patria”. Un cast di cui faccio parte (di certo immeritatamente) dal lontano 1996.
Intanto la rivista cresce diventando cassa di risonanza per tutti i tentativi di rifondazione della politica nazionale, in cui il consociativismo da democrazia bloccata (“la Grande Bonaccia del mar delle Antille” nella metafora anni ‘50 di Italo Calvino) è degenerato nell’occupazione collusiva degli organigrammi pubblici da parte di una corporazione indifferenziata del potere (“La piovra” della profetica fiction RAI).
Una dissipazione prima di tutto morale, combattuta attraverso le campagne stampa a sostegno della procura milanese di Mani Pulite e della primavera palermitana di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, di tutti i coraggiosi servitori dello Stato colpiti a morte dalla criminalità organizzata; contro l’avvento della Seconda Repubblica salvacorrotti sotto l’ombrello protettivo di Silvio Berlusconi e il suo impero televisivo, cresciuto all’interno dell’occupazione craxiana del potere come spalla affaristico-mediatica, poi giocando la partita in proprio, seppure nella penombra di scambi inconfessabili. È la grande stagione dei “girotondi”, che Paolo Flores d’Arcais, probabilmente il più formidabile organizzatore culturale della Sinistra (che pure ne diffida per la sua indisponibilità ai compromessi), promuove in coppia con Nanni Moretti e il contributo degli ex-PLI anti-malagodiani di Critica Liberale.
È così che in quasi quattro decenni viene accumulandosi un patrimonio inestimabile di benemerenze civili e democratiche, a rischio di azzeramento per il colpo feroce giunto alle spalle di MicroMega: lo tsunami che investe il sistema editoriale in cui è cresciuta e si è fortificata, con l’acquisizione dell’Editoriale E&R da parte del Gruppo Gedi della famiglia Agnelli-Elkann. La nuova proprietà, che inizia a fare incetta di testate per una strategia che nulla ha a che vedere con il ruolo della libera stampa; e di cui gli intenti sono sotto gli occhi di chi vuol vedere: creare uno scudo protettivo per la proprietà, intenzionata a tutelarsi politicamente nel momento in cui procede alla messa all’incanto di un impero industriale fondato sull’automobile e largamente finanziato a spese degli italiani: dalla scelta di investire sul trasporto privato costruendo la mastodontica rete autostradale del dopoguerra, fino ai benefit sotto forma di casse integrazione e finanziamenti a fondo perduto per superare le ricorrenti crisi del gruppo industriale.
Un disegno liquidatorio, finalizzato a far cassa a favore delle famiglie Fiat, e che getta alle ortiche una vicenda nata quando Adriano Olivetti sussidiò disinteressatamente i progetti editoriali di Arrigo Benedetti e del suo giovane partner Eugenio Scalfari. Roba da tagliatori di teste aziendali in cui MicroMega non è ritenuta di una qualche utilità. Per cui la si vorrebbe destinare al cestino dei rifiuti. Ma il direttore PFdA non lo accetta: rileva, seppure a condizioni capestro e la perdita della distribuzione nelle edicole, la testata e impegna ogni suo avere per farla sopravvivere. Così si va avanti per tre anni, nonostante tutto.
Poi il 22 settembre scorso il grido di dolore: “MicroMega muore!”. Muore se non trova entro l’8 di ottobre almeno 5mila nuovi impegni di abbonamento. Sembra una battaglia disperata. Ma non è così. Dopo quattro giorni si raccolgono già 2.500 adesioni, che diventano 3.713 sabato scorso. Entriamo quindi nell’ultima settimana prima dello show down, in cui andrebbe fatto l’ultimo sforzo per evitare il silenziamento di una voce preziosa (per aderire: www.micromega.net). Sta a tutti noi apporre la parola fine sulla storia che vi ho raccontato. Sperando diventi un happy end.